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L'INTERVENTO - Dal "Perugia dei miracoli" alla "Perugia dei miracoli", perché mortificare “l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo”?

Pubblichiamo l'intervento del professor Paolo Belardi, ordinario di Composizione Architettonica e Urbana e presidente del Corso di Laurea in Design dell'Università degli Studi di Perugia

Pubblichiamo l'intervento del professor Paolo Belardi, ordinario di Composizione Architettonica e Urbana e presidente del Corso di Laurea in Design dell'Università degli Studi di Perugia. 

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Un tempo, quando si parlava di “Perugia dei miracoli”, si pensava subito all’indimenticabile squadra di calcio che, nella stagione calcistica 1978/1979 della serie A, conseguì il secondo posto in classifica e si fregiò del record d'imbattibilità. Mentre oggi, quando si parla di “Perugia dei miracoli”, si potrebbe pensare, molto più tristemente, a una città che, negli ultimi anni, è stata capace di trasformare i campi da calcio della periferia, dove le vecchie generazioni avevano coltivato i propri sogni sportivi, in brutte costruzioni in cemento armato, dove le nuove generazioni sono spinte a coltivare la propria vocazione consumistica. In qualche modo Perugia come Cana, ma con una differenza fondamentale: nel caso del capoluogo umbro, invece che nella tramutazione dell’acqua in vino, il miracolo è consistito nella tramutazione dei metri quadrati in metri cubi.

Mi spiego ripartendo dall’elenco delle scelte urbanistiche scellerate che, con sempre maggiore frequenza, punteggiano malinconicamente il panorama della nostra città. Pensavo che l’apice della vergogna fosse stato raggiunto soppiantando le pensiline organiche dell’ex mattatoio di via Palermo (progettate da Claudio Longo) con un algido capannone commerciale piuttosto che immolando gli shed dell’ex tabacchifico di via Cortonese (progettati da Pier Luigi Nervi) sull’altare di un mastodontico condominio residenziale. Ma poi ho appreso che il teatro progettato da Aldo Rossi al centro della piazza Nuova di Fontivegge, seppure pubblicato su tutti i libri più accreditati di storia dell’architettura, sarebbe stato sostituito da una pista di skatebord. Il che al momento mi aveva sconcertato non poco, ma poi mi ero consolato pensando che questo scempio, culturale prima che architettonico, fosse il prodromo di una rinnovata propensione per la riduzione volumetrica oltre che il segnale di una rinnovata attenzione per la pratica sportiva.

Purtroppo però mi sono dovuto ricredere quando, confrontandomi occasionalmente con un amico da sempre impegnato nell’ambito del calcio dilettantistico umbro, mi è stato fatto presente che negli ultimi anni, a Perugia, sono stati soppressi ben tre campi da calcio e che un quarto sta per essere soppresso. Mi riferisco ai campi da calcio di Prepo (su cui è stata edificata la sede del Comitato Regionale Umbria FIGC-LND), di San Faustino (su cui è stato realizzato un supermercato alimentare) e di Ponte della Pietra (su cui è in corso di costruzione il complesso interparrocchiale “San Giovanni Paolo II”). Ma mi riferisco anche, e a questo punto soprattutto, al campo da calcio dei Rimbocchi, su cui, come noto, sarà realizzato un edificio scolastico destinato alle attività formative del Liceo Scientifico Statale “Galeazzo Alessi”. Tutte scelte molto discutibili dal punto di vista dell’architettura della città, visto che il resto del pianeta tende a costruire sul costruito evitando di consumare ulteriore suolo (ancor più se si tratta di attrezzature sportive) e limitandosi all’aggiunta di rari elementi a zero cubatura volti a ricucire le smagliature dei luoghi irrisolti (ancor più se si interviene in ambito periferico).

D’altra parte, perché invece di privare i giovani di quattro campi da calcio, mortificando quella pratica sportiva che, anche e forse soprattutto a livello amatoriale, incarna secondo Pier Paolo Pasolini “l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo”, non sono state fatte scelte diverse ovvero più sostenibili? Perché, ad esempio, il complesso interparrocchiale di Ponte della Pietra non è stato edificato in luogo (o addirittura all’interno) di uno dei tanti capannoni industriali dismessi di via Settevalli? perché la nuova sede del Liceo Scientifico Statale “Galeazzo Alessi” non è stata prevista ubicata nei pressi del polo di Ingegneria, dove esiste un’ampia area libera disponibile e così come suggerisce la nuova tendenza “verticale” dell’edilizia scolastica? Forse perché, da molto (troppo) tempo a questa parte, non c’è più una visione della città: né dal punto di vista funzionale né tantomeno dal punto di vista formale. E i risultati, come credo sia innegabile, sono sotto gli occhi di tutti.

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