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Mercoledì, 24 Aprile 2024
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“Curi da abbattere e ricostruire, con un progetto importante i soldi si trovano”

Parla l'ingegner Roberto Regni che ha rifatto la Dacia Arena di Udine, uno dei cinque stadi di proprietà dei club calcistici e sta lavorando al nuovo Bentegodi di Verona: "Ristrutturare l’esistente costerebbe il doppio"

“Conosco il Curi come le mie tasche, pezzo per pezzo, centimetro per centimetro... l’unica cosa che posso dirle è che la situazione statica e le condizioni di sicurezza non sono rassicuranti”.

L’Ingegner Roberto Regni, se dovesse servire un biglietto da visita per presentarlo, è stato progettista e direttore dei lavori della Dacia Arena di Udine, cioè di uno dei cinque stadi italiani di proprietà dei club, ha ristrutturato l’impianto della Triestina, adeguato quelli di Carpi, Arezzo e Trapani, è uno dei 21 progettisti dello stadio della Roma ed è in ballo con il rifacimento del Bentegodi di Verona. Non solo: è stato responsabile dell’impianto perugino sotto le gestioni Gaucci, Silvestrini e Covarelli, e durante quegli anni ha stilato vari progetti per un Nuovo Curi, anche in collaborazione con l’ingegner Paolo Belardi. 

Insomma se lo stadio-meccano di Spartaco Ghini, ormai 46enne (compiuti il 5 ottobre) è molto malato, possiamo dire di avere lo specialista in casa, senza andare troppo lontano. 

Ingegnere, cominciamo da un'intervista che rilasciò al sottoscritto undici anni fa. A proposito del Curi diceva “è l’opera pubblica che ha più urgenza di tutti di essere ristrutturata, rivista, di essere salvata perché se resta così, senza interventi, si può anche chiudere”. Che cosa è successo nel frattempo?

“Niente o quasi. Finché mi sono occupato io di manutenzione abbiamo speso regolarmente i 250.000 euro versati dal Comune, e neanche bastavano. Poi mi sono tirato fuori e non saprei dirle. Di sicuro il milione di euro che ha messo sul piatto l’amministrazione Romizi in questo momento rappresenta uno sforzo sostanzioso per mettere in sicurezza lo stadio, ma non si potrà andare avanti all’infinito sempre in emergenza”.

Dal punto di vista puramente tecnico, lo stadio rischia di essere chiuso per mancanza di agibilità?

“A questa domanda non posso e non voglio rispondere, ma certo che, nel caso, le soluzioni sarebbero di giocare a porte chiuse o con due-tremila spettatori sparsi qua e là. Una cosa veramente triste”.

I tifosi, ma diremmo la città intera che ha a cuore le sorti del Perugia si chiede di chi è la colpa di tutto questo impasse.

“Di sicuro non di Santopadre, che ha sempre detto che non è di sua competenza, né degli attuali amministratori perché in precedenza, e per molti anni, nessuno ha dimostrato di considerarlo una cosa importante, fondamentale, per la città. Ora il primo passo spetta comunque alla proprietà, cioè al Comune, che però deve trovare risorse economiche importanti, non nel suo bilancio ma da finanziatori interessati al progetto. Poi le farò un esempio concreto. In verità, devo dirle che il nuovo Curi che avevo disegnato per Gaucci si sarebbe sostenuto da solo, in cambio di cubatura ma l’amministrazione di allora disse di no. Erano previste una multisala, un centro commerciale e delle palazzine con appartamenti in housing per i giovani. Guarda caso, dopo tanti anni tutte e tre le opere sono state realizzate lì intorno. Idee nostre, ma pazienza...”.

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Ci fa un esempio di finanziamento, che non sia quello del Credito Sportivo o della Cassa Depositi e Prestiti?

“Facile. Le racconto quello che sta succedendo a Verona e nella maggior parte delle città... Lì, il sindaco Sboarina è partito dalla Legge 147 del 2013 che facilità questo tipo di iniziative, cioè un project financing con tempistiche facilitate in cui il promotore deve presentare, oltre che un progetto tecnico, anche un piano economico finanziario comprensivo delle manutenzioni successive, che renda sostenibile tutta l’iniziativa. L’amministrazione comunale ha commissionato uno studio tecnico preliminare e poi ha indetto una richiesta di interesse a livello europeo per trovare i soldi ed assegnare ristrutturazione, ricostruzione e gestione dello stadio. Ha risposto una società tedesco-messicana che ha come uomo d’immagine l’ex terzino del Verona, Thomas Berthold. È stata costituita una New Company, con dentro anche il Verona. Loro investiranno, sulla ricostruzione e sulle nuove cubature e riscuoteranno gli affitti per pagare i mutui. Il Verona Calcio pagherà, appunto, un affitto annuale per l’uso del Bentegodi. Io ho fatto il progetto preliminare, approvato dall’amministrazione comunale, ora è in corso di definizione il progetto definitivo che verrà poi messo a gara pubblica in quanto lo stadio è di proprietà comunale”.

Quindi potrebbero fare i lavori anche società diverse da quella che fa riferimento a Berthold?

“Sì, ma con due paletti importanti. Nel caso la New.Co che ha trovato i finanziamenti non dovesse aggiudicarsi l’appalto può comunque riprendersi il lavoro abbassando la propria richiesta fino a pareggiare quella della società vincitrice. Oppure restarne fuori ottenendo un rimborso tecnico del 2% del valore dell’opera”.

Ma Verona o Udine non sono Perugia… dove trovare degli investitori per il Curi?

“Sono sicuro che questo non è un problema, ma ci vogliono tre prerequisiti fondamentali: una amministrazione oculata, una società di calcio che sia lungimirante sullo stadio ed un’ottima progettualità. Se abbiamo questi tre elementi i soldi si trovano. Perché, vede, il nostro stadio non è un luogo qualsiasi. È un tempio cittadino, dove si celebra la messa laica della città, è un patrimonio sociale ed economico. Va messo a reddito, non può essere solo una spesa e per questo, anzitutto, va salvaguardato. Abbattuto, se è questo che vuol sapere, e rifatto di sana pianta. Ristrutturare l’esistente mettendo varie toppe significherebbe spendere il doppio. E poi: il Curi è in una posizione strategica eccezionale, come pochi altri stadi in Italia e all’estero che ho visitato. Ha un grandissimo parcheggio, la stazione del Minimetrò e la fermata del treno, l’ingresso in superstrada a poche centinaia di metri. Insomma, è appetibile. Però il percorso da seguire, secondo me, è quello intrapreso a Verona. Non basta dire facciamo uno stadio da 15-20 mila posti, poi bisogna individuare spazi che consentano di produrre reddito per pagare i mutui e investire in manutenzione. La progettualità deve prevedere uno stadio polifunzionale che deve essere aperto 365 giorni all’anno. Per esempio: un albergo nel parcheggio dietro la gradinata, a due passi dal Minimetrò, per esempio sfruttando la pioppeta dietro la curva sud, che è già stata inserita nel Piano Regolatore come “area di ampliamento impiantistica sportiva”. Lì ci sono cubature per strutture tipo outlet, clinica riabilitativa, negozi per articoli sportivi ed altro, oltre ad un grande parcheggio indispensabile per i tifosi ospiti, che ora come ora sono sistemati in un posto a grande rischio, per la sicurezza e l’ordine pubblico dietro la Tribuna. Lascerei immacolata solo la curva Nord. Io prima che un tecnico sono un tifoso del Grifo. La Nord non si tocca...”.

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Ma è sicuro che un albergo davanti allo stadio sia appetibile?

“Le racconto questa. Anni fa andai a vedere lo Stamford Bridge, lo stadio del Chelsea, che era allenato da Ranieri. Ho alloggiato nell’hotel a fianco dello stadio, cenato, dormito e la mattina, dalla finestra della camera ho assistito all’arrivo delle squadre, dei tifosi. Poi, con calma, pochi minuti prima della partita ho fatto 100 metri a piedi e mi sono messo al mio posto, comodo e al coperto. Meglio di così?”.

Diamo per acquisito. Ma abbattere il Curi e rifarlo vuol dire andare a giocare da un’altra parte per uno o due anni?

“Assolutamente no, i lavori si fanno a stralci, come abbiamo fatto a Udine e come faremo a Verona. Si chiudono dei settori, non lo stadio intero”.

Ecco, torniamo a Udine, uno stadio di proprietà della famiglia Pozzo. Come si rientra dalle spese?

“Come le ho detto puntando su uno stadio polifunzionale, con situazioni che possano generare reddito, essenzialmente affitti. Uno stadio vivibile attrae più gente, inevitabilmente. Prima della ristrutturazione Udine aveva 6/7mila abbonati, dopo è passata a 13mila. La Dacia Arena è più comoda, più tranquilla, più familiare. Ci sono famiglie che vengono, poi c’è chi va a vedere la partita e chi a fare spesa nel centro commerciale. È una realtà. Accanto ci sono molti uffici privati e persino una clinica, tutti edifici che sono costati a Pozzo quasi 30milioni di euro in più rispetto alla ristrutturazione dello stadio. A Verona sono previsti alberghi, a Roma, nel progetto originale c’era qualsiasi cosa, persino un maxi schermo all’interno di un supermercato dove vedere la partita in diretta. Mi creda, qui come in altri campi sono più importanti le idee dei soldi. E per mettere un punto a questa storia, per ripartire da zero, ci vogliono professionalità, che a Perugia non mancano, in grado di costruire un progetto completo, stadio e opere accessorie. Il resto verrà da solo”.

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Bastano i 30 milioni di euro dei quali si è parlato per rifare il Curi?

“Non penso. Ammesso che bastino, chi paga poi il mutuo di circa 900mila euro l’anno e le successive manutenzioni se non ci sono spazi per renderlo fruibile con un buon piano economico finanziario? Il Comune, per quello che ne sappiamo dalle dichiarazioni ufficiali, può arrivare a 300mila euro l’anno, ma senza più versare il contributo di manutenzione. Il che significa trovare chi copre l’intero piatto per molti anni. E quindi torniamo al punto di partenza: va bene ricostruire lo stadio, ma senza progettualità di altissimo livello, che consenta dei ricavi extra calcio, nemmeno si parte. E quando dico progettualità, intendo anche uno studio approfondito che possa coinvolgere tutte le eccellenze della nostra Provincia, dal manifatturiero al dolciario, dalla cultura alle grandi personalità. Lo stadio e il calcio dovranno essere la calamita per proporre delle attività di contorno che evidenzino i nostri asset più importanti”.

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