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Il crocefisso nei luoghi pubblici: ancora inutili polemiche

Riceviamo e pubblichiamo le riflessioni sul tema dell'avvocato Maria Elena Ruggiano dell'Unione giuristi cattolici di Perugia

Riceviamo e pubblichiamo una riflessione dell'avvocato Maria Elena Ruggiano sulla questione dell'esposizione del crocifisso nei luoghi pubblici spaziando da quello che prevedono le leggi, le consuetudini e la sensibilità religiosa e laica.

Ciclicamente si riapre l’annosa questione della legittimità o meno del crocefisso nei Luoghi pubblici, ad opera di coloro che sostengono favorevolmente la non esposizione del crocefisso stesso in virtù di un rispetto del principio di laicità dello Stato italiano e delle altre confessioni religiose.

È stato autorevolmente sostenuto che in tema di esposizione del crocefisso nei luoghi pubblici non possono essere invocati argomenti quali quello che mira a considerare la religione cattolica come quella professata dalla maggioranza degli italiani; d'altronde il “ criterio della appartenenza numerica ad un confessione” utilizzato tante volte in passato è stato abbandonato dallo stesso giudice delle leggi nella sentenza 20 novembre 2000 n. 508; né giova invocare la disposizione concordataria che riconosce, giustamente, che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico e culturale del popolo italiano, dal momento che i principi espressi nella nostra carta costituzionale “impongono il rispetto per le convinzioni degli altri e la neutralità delle strutture pubbliche di fronte ai contenuti ideologici”.

È innegabile altresì che una società democratica e pluralista, per quanto fondata su propri modelli e tradizioni, anche di ispirazione religiosa, non possa soffocare il diritto dei singoli e dei gruppi, confessionali e non, ad esprimere le proprie idee e convinzioni e farle valere nel processo decisionale della collettività.

Il problema consiste allora nello stabilire entro quali limiti la società italiana e non lo Stato abbia il diritto di imporre determinati modelli, suscettibili di contrastare con le convinzioni religiose di una parte della popolazione e con il dettato costituzionale per il quale “lo Stato laico deve essere equidistante ma non indifferente a tutte le espressioni religiose” e non si possono adottare atteggiamenti di favore per l’una o l’altra confessione. Dal momento che non si può nemmeno più invocare il valore culturale del crocefisso, poiché tale qualificazione non appare affatto scontata, tanto da incontrare aperte critiche in dottrina, rimane dunque opinabile la possibilità stessa di annoverare il crocefisso tra i simboli popolari.

L’esposizione del crocefisso non è imposta dalla pubblica istituzione, ma da essa semplicemente consentita sulla base della libera determinazione ed espressione della volontà dei diretti interessati che di fatto vogliono l’esposizione del loro simbolo religioso. Non è la pubblica amministrazione che impone il crocefisso alla collettività ma è lo Stato che ratifica il frutto di una libera scelta della maggioranza degli italiani, non diversa da tante altre che lo stesso Stato ha ratificato e fatto proprio. Si pensi alla scelta del riposo settimanale non a caso coincidente con il precetto cattolico, salvo il diritto riconosciuto ai fedeli di altre religioni di osservare un diverso riposo settimanale e la scelta delle festività innegabilmente improntate sulla base del calendario cristiano. Eppure non risulta che chicchessia abbia mai gridato allo scandalo o che un ateo abbia lamentato una discriminazione per non poter lavorare il giorno di Natale né per dover leggere nel calendario che il 25 Ddicembre si celebra tale ricorrenza. Si tratta infatti di comportamenti ed abitudini che lo Stato ha mutuato dai precetti religiosi ma riconoscendo che corrispondevano al sentire ed alla volontà del popolo italiano senza che nessuno si sia sognato di ipotizzare che la rilevanza civile di festività religiose cattoliche offenda il principio di laicità dello stato.

Allora si deve essere coerenti fino in fondo: non si può pretendere la rimozione del crocefisso ed accettare al contrario con gioia i giorni festivi e le festività religiose come momenti di riposo; bisognerà sostenere quindi che o un simile precetto comporta una assoluta indifferenza della cosa pubblica nei confronti di ogni sentire religioso, fosse anche quello della stragrande maggioranza della popolazione, invocando di conseguenza l’abolizione delle festività religiose e dello stesso riposo settimanale, oppure accettare che il principio di laicità comporti certo l’obbligo da parte dello stato di non adeguare pedissequamente il proprio comportamento ai precetti di una data religione ma non sino al punto di dover rinnegare la propria storia e la propria cultura e soprattutto dover ignorare le legittime aspirazioni della popolazione nel rispetto della libertà religiosa di ciascuno e senza ignorarne i culti.

Di conseguenza l’atteggiamento in merito alla esposizione del crocefisso viene serenamente compiuta secondo simili indicazioni senza dover forzare il principio di laicità che portato alle estreme conseguenze rischia di travolgere l’intera organizzazione della società italiana e l’ordinamento cui essa ha dato origine fondato su principi di quella matrice cattolica che ha storicamente ispirato l’intera cultura occidentale.

Maria Elena Ruggiano, Unione dei giuristi cattolici di Perugia

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