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Criticità e limiti dell’insegnamento della lingua inglese nella scuola italiana, la lettera della docente ai genitori

La lettera aperta della docente Stefania Busti

Riceviamo dalla docente Stefania Busti che segnala criticità e limiti dell’insegnamento della lingua inglese nella scuola italiana. Una lettera aperta ai genitori in cui si spiegano i limiti dell’apprendimento dei nostri ragazzi. I quali non sono meno dotati di quelli di altri Paesi: hanno semplicemente minori opportunità.

Cari genitori,

sono un’insegnante di inglese con alle spalle una lunga esperienza e mi trovo ancora in cattedra, felice di mettere a frutto le mie competenze con i vostri figli.

Tuttavia, ad ogni nuovo anno scolastico si pone il solito, difficile problema: come insegnare e far apprendere una lingua straniera in classi numerose – di 24/25 studenti – con così poche ore a disposizione.

Le ore di inglese previste dal Ministero sono 3 a settimana (2 per francese, seconda lingua comunitaria) che in pratica, si riducono a circa 2 ore e mezzo, considerando l’ora di 55 o 50 minuti, gli adempimenti obbligatori all’inizio di ogni lezione, il cambio classe e tutti gli adempimenti formali.

Come si può, in questo poco tempo, fare in modo che tutti gli alunni abbiano la possibilità di comunicare verbalmente in lingua straniera, giungendo anche a saper scrivere almeno qualche frase?

Non è sufficiente conoscere le regole grammaticali, le eccezioni, i paradigmi, la lista dei vocaboli, se poi manca il tempo per poter mettere in pratica, esercitarsi, avere qualche scambio dialogico con gli altri, ascoltare e comprendere vari tipi di testi.

L’obiettivo che la scuola si pone è il raggiungimento delle competenze e dei traguardi previsti dalle Indicazioni Nazionali del MIUR, che sono alquanto elevati. Lo stesso si può dire per i test standardizzati nazionali, utili per la rilevazione, misurazione e valutazione del livello degli apprendimenti degli alunni (prove INVALSI)

E ancora, in questa ristrettezza temporale, non si capisce come si possano aiutare quei ragazzini con maggiori difficoltà, il cui numero sta crescendo in maniera esponenziale e per i quali non servono fotocopie e schede aggiuntive, ma tempi più lunghi di acquisizione, maggiore esposizione alla lingua, presenza più assidua dell’insegnante. Tutti gli alunni hanno lo stesso diritto ad apprendere. Anzi, la scuola dovrebbe supportare proprio coloro che evidenziano un maggior bisogno o sono portatori di un disagio culturale, sociale, familiare.

I tempi brevi non aiutano certamente nemmeno ad acquisire la motivazione, che è invece il terreno fertile su cui prospera l’apprendimento. L’alunno ha bisogno di sentire che, malgrado la difficoltà dell’argomento, può riuscire, ce la può fare, ha bisogno di lavorare in prima persona, di sentirsi attore della lezione insieme ai compagni. Anche per i più dotati, c’è la necessità di mettersi alla prova e di impegnarsi su progetti commisurati alle proprie competenze, ma questo è difficilmente realizzabile quando si lavora in una continua condizione di urgenza.

Per imparare una lingua, oggi, purtroppo dobbiamo constatare che la scuola serve a poco, se non si seguono corsi privati o non si ha la possibilità di essere esposti alla L2 in qualche modo.

E pensare che Don Milani, qualche decennio fa, faceva studiare la lingua inglese circa due ore al giorno ai suoi alunni i quali poi venivano anche inviati nei vari paesi anglofoni perché potessero perfezionarla in un contesto autentico. E questo succedeva non solo con l’inglese.

Da poco ho scoperto che in Estonia i ragazzi a scuola seguono sei ore di inglese settimanali, in classi appositamente ridotte di numero per le lezioni di lingua straniera, con un massimo di 15 alunni. E ci sarebbero tanti altri esempi da portare.

Poi ci lamentiamo perché gli italiani non conoscono le lingue, non le sanno parlare e cerchiamo le motivazioni nel fatto che non siamo “portati” per lingue, che gli insegnanti non sono ben preparati o che le tecnologie sono inadeguate.

Le ragioni invece sono semplici e sotto gli occhi di tutti: lo studio della lingua straniera richiede tempo, esposizione, dedizione. Il resto viene da solo.

Allora, cari genitori, non concentrate la vostra attenzione sul voto, ma chiedetevi se i vostri figli apprendono veramente, senza essere stressati, e se vanno a scuola serenamente e con piacere.

A chi e a che cosa giova una scuola dove si impara poco, una scuola che produce ignoranti, una scuola che non ha il tempo necessario per formare i ragazzi con la speranza di costruire un mondo migliore? Ma qui si sconfina in un altro genere di riflessioni.

Stefania Busti

Docente di inglese – Scuola secondaria di primo grado

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