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CORREVA L'ANNO di Marco Saioni | Perugia 1904 – L'odiato dazio su polli, verdure e carne per chi entra in città. Liti e furbate per tirare a campare

Eludere i controlli con vari stratagemmi per fregare le guardie divenne da subito la missione della vita per ogni commerciante, contadino o semplice viandante,

Ci si lamenta in città per il dazio eccessivo su meloni e cocomeri. Per non parlare dei finocchi. Solo che nei primi due prodotti, si sostiene, la parte commestibile rappresenta meno di un terzo del peso. In pratica era da considerare tassa sulle scorze. A Porta San Pietro, inoltre, un signore si è lamentato degli ottanta centesimi versati per sdaziare due faraone. Rarissimi i cittadini cui era nota l’etimologia di quella parola, derivata dal tardo latino, ma il significato del dare era chiarissimo a tutti. Chiunque intendesse varcare le numerose barriere poste alle porte cittadine era soggetto a scrupoloso controllo e ogni cosa trasportata, se ritenuta merce, pagava dazio.

Eludere i controlli con vari stratagemmi per fregare le guardie divenne da subito la missione della vita per ogni commerciante, contadino o semplice viandante, magari con due uova taciute in tasca. Curiosa, a tale proposito, la vicenda occorsa a tre persone provenienti dalle campagne. Dovendosi trattenere in città per qualche ora e volendo evitare spese per il vitto, uno di loro recava in mano il “bravo involto”. Pane e due chili di carne cotta. Scesi dal tram alla barriera di Santa Croce (zona Tre Archi), la guardia Giuglini, già franata nel vino, chiese loro se avessero nulla da dichiarare. No, fu la risposta, solo roba da mangiare. E’ mancata dichiarazione, quindi multa. Quasi cinque lire, più del doppio del valore della carne. Come non ricordare la gag di Troisi e Benigni difronte all’esattore che senza alzare gli occhi chiedeva a ripetizione quanti fossero e cosa trasportassero e indipendentemente dalle risposte imponeva un fiorino.

Proteste spontanee da parte di alcuni passanti per l’assurdità di quel provvedimento ma a difendere il comportamento della guardia ci pensò il collega di grado superiore. Questi affrontò i dissidenti, divenuti ormai folla, e a petto gonfio se ne uscì con una frase sentenza: “Qui comando io e faccio quello che mi pare”. Cattiva idea, poiché le guardie già non godevano di largo consenso, a prescindere, e tanto meno i perugini, sempre lesti e inclini al dileggio, apprezzavano pose da Marchese del Grillo. Così, al primo sonoro epiteto che invitava i dazieri a percorrere quel sentiero fino alla nota destinazione, seguì burrasca di fischi da spettinare.  Si aprì un’inchiesta per accertare i fatti Al netto dei comportamenti ottusi dei controllori, la gabella daziaria era in ogni caso indigesta per cui ogni stratagemma volto a evitarla si riteneva fosse cosa buona e giusta. Tale conflitto, che mobilitò le risorse dell’ingegno, talvolta assurto a pura genialità, produsse una cospicua aneddotica, specie nei confronti di Fiorin di Fava, celebre, inflessibile guardia, seppure a corto di perspicacia. Si racconta, infatti, che lasciò passare una festante comitiva di suonatori con chitarre e mandolini, unendosi volentieri al coro, senza accorgersi che molti di loro strimpellavano dei prosciutti.

Lo stesso fu anche gabbato da un signore ben vestito, al guinzaglio due strani cagnolini che suscitarono meraviglia poiché mai vista una razza così. Erano in realtà due agnelli, ben lavati, il pelo arricciato con cura. Autentica classe. Celeberrima poi l’esclamazione “che tiro!” difronte all’impeccabile traiettoria di una forma di pecorino stagionato che superava beffarda la barriera, sotto i suoi occhi, come un magistrale lancio di ruzzolone. Spesso, tuttavia, l’intervento delle guardie andava a segno nel reprimere tentativi di frodare l’erario comunale. Il calzolaio perugino Baldoni Giuseppe, di anni ventidue, era forse in odore di contrabbando e per questo tenuto d’occhio. L’occhiuta sorveglianza riuscì a sequestrargli, dopo vari appostamenti, quaranta chili “di candele steariche e una lunga fune”. 

Lodi del cronista per l’operato dei dazieri. Ancora più clamoroso l’esito di una strategia d’indagine volta a smascherare l’astuto Paolo Ferroni, i cui movimenti sospetti aizzarono il fiuto delle guardie. Niente, tuttavia, risultò dalla perquisizione personale, anche il carretto era vuoto, poi l’intuizione. Fu fatto scendere e controllato il cuscino del sedile “lo trovarono duro e untuoso”. L’accurata ispezione rivelò che al posto del crine vegetale era stato introdotto un trancio di lardo di trenta chili. Gli sequestrano carro, cavallo e lardo. “Splendido servizio” concluse il cronista.

Divergenze sul peso. Romoli Gaetano, ventenne perugino, contestò invece il responso della bascula. Secondo lui il peso del pesce trasportato era inferiore a quello rilevato dalle guardie. Una tesi oggettivamente difficile da sostenere senza una bilancia da opporre a quella ufficiale. Alla fermezza degli addetti reagì con un corposo vocabolario d’insulti, precisando che la divisa e il berretto non lo intimidivano mica. Accorse gente, raramente solidale con l’ordine costituito, ma anche i carabinieri che lo ammanettarono. Manette anche per Papi Pasquale, reo d’insulti osceni nei confronti degli ispettori che gli avevano richiesto, per controllo, la bolletta poco prima pagata per sdoganare qualche sacco di fieno caricato con mosse di fatica.

Successe qualche settimana dopo. L’agente daziario Alunni Ulisse fu ferocemente sbeffeggiato da uno sconosciuto mentre percorreva Corso Cavour. Volendo evitare contatti, continuò per la sua strada ma ottenne solo una rabbiosa serie di sconcezze associate al suo nome. Fu così impossibile ignorare il fatto e avvicinandosi allo sconosciuto, chiese motivo di quel comportamento. La rispostafu affidata a una gragnuola di pugni e calci, dispensati anche da alcuni amici che si avventarono su di lui. Il trambusto richiamò un collega dell’Alunni ma un gruppo più numeroso di persone evitò che si procedesse all’arresto. Spunti di cronaca per storie minime, adocchiate dai cancelli delle barriere alle porte della città.


 

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