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Coronavirus e mortalità, lo studio dell'Università di Perugia

L’Università degli Studi di Perugia in una collaborazione internazionale che analizza i dati di 22 Paesi. Lo studio pubblicato su International Journal of Epidemiology

Si chiama C-MOR ed è una collaborazione internazionale che sta raccogliendo informazioni e dati provenienti da 22 diversi Paesi, con l’obiettivo di analizzare e spiegare il diverso impatto della pandemia da coronavirus nel varie parti del mondo. L’Università degli Studi di Perugia, sottolinea una nota dell'Ateneo, "è Centro di riferimento italiano del progetto, coordinato dal professor Giuseppe Ambrosio e con l'attiva partecipazione dei Professori Fabrizio Stracci e Giampaolo Reboldi". 

La pandemia, spiega l'Università degli Studi di Perugia, "ha colpito tutti i paesi del mondo. Tuttavia, continuano a giungere segnalazioni di un diverso impatto dell'infezione dal virus in varie nazioni, in termini di rischio di ammalarsi gravemente, e di morte. Verificare in modo preciso queste differenze, e cercare di comprenderne le cause è di estrema importanza per poter fronteggiare al meglio la pandemia". 

Il primo studio frutto della collaborazione C-MOR  è stato recentemente pubblicato sulla rivista scientifica International Journal of Epidemiology, ovvero l’organo ufficiale dell'International Epidemiological Association.  

Lo studio, spiega ancora l'Unipg, "ha osservato i tassi di mortalità dal 2015 all’agosto 2020 e ha evidenziato con precisione come a livello globale, nel periodo gennaio-agosto 2020, la capacità di arrestare precocemente la diffusione dell’epidemia mediante l’adozione tempestiva di misure di restrizione (tipo lockdown) è stato un fattore chiave nel ridurre l’eccesso di mortalità rispetto agli anni precedenti la pandemia. Tuttavia, durante il medesimo periodo, si è evidenziata una differenza assai marcata nella mortalità complessiva nei vari paesi, con alcuni (come Italia, Spagna, Gran Bretagna) colpiti in modo purtroppo molto evidente, mentre altri (Austria, Israele, Irlanda, paesi Scandinavi), hanno riportato tassi di mortalità non molto distanti dagli anni precedenti la pandemia".  

E ancora: "Tali effetti così diversificati, in realtà, non risultano pienamente giustificati da fattori quali le differenze nella diffusione del virus, le misure di restrizione, o la campagna di vaccinazione, all'epoca non ancora iniziata".

"Questi risultati indicano che vi sono fattori potenzialmente assai rilevanti che possono indirizzare in senso negativo o viceversa favorevole l'evoluzione della pandemia – spiega il professor Ambrosio - . Le disparità descritte, infatti, non sembrano essere collegate a differenze di epidemiologia o a caratteristiche infettivologiche, ma sono verosimilmente legate a differenze di organizzazione sanitaria nei vari Paesi. Comprendere questi fattori e mettere in pratica le opportune misure per adeguarsi potrebbe rappresentare un passo assai importante per mitigare le conseguenze della pandemia. Su questi aspetti – conclude il Prof. Ambrosio - le ricerche del progetto C-MOR stanno proseguendo, con interessanti risultati preliminari". 

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