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Coronavirus, il rapporto dell'Iss: nella seconda fase letalità al 2,4%, valori dell'Umbria tra i più bassi

Lo studio dell'Istituto Superiore di Sanità condotto utilizzando il 'Case Fatality Rate' (Cfr) standardizzato, che si basa solo sui casi confermati e tiene conto delle differenze demografiche

COS'È IL 'CASE FATALITY RATE"

In alcuni casi la letalità, ossia la proporzione di decessi che si verificano in una popolazione infetta, è stata calcolata utilizzando dati aggregati cumulati riferiti ai casi e decessi notificati a una certa data. Questa tipologia di stima può però risentire di distorsioni. Le stime puntuali e il loro confronto nello spazio e nel tempo possono ad esempio essere distorte da differenze e modificazioni nell’accessibilità ai test diagnostici. Ad esempio, una ridotta capacità di tracciamento di casi asintomatici conduce a una di sottostima della popolazione infetta esposta al rischio di morte e alla conseguente sovrastima della letalità.

In questi casi, è più appropriato utilizzare il termine case fatality rate (CFR) che è calcolato esclusivamente sulla popolazione dei casi noti, ossia quelli diagnosticati e notificati. Inoltre, l’utilizzo di dati aggregati cumulati a una certa data non tiene conto dell’intervallo di tempo che intercorre tra la diagnosi e l’eventuale decesso. In questa circostanza, i casi per i quali l’infezione è relativamente recente da non aver ancora potuto manifestare eventuali complicazioni fatali sono conteggiati nella popolazione infetta a rischio di decesso, causando così una sottostima del CFR. Mentre il primo limite non può essere superato con i dati a disposizione, l’analisi presentata in questo rapporto è basata su dati individuali riferiti ai casi per i quali, tenuto conto di un possibile ritardo nell’aggiornamento delle informazioni, il tempo di osservazione del decorso clinico è stato di almeno 30 giorni dalla diagnosi.

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