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Coronavirus e riabilitazione respiratoria, la lettera dei medici al Ministero della Salute

Lettera aperta, da parte delle Società Scientifiche Aipo-Its, Sip/Irs, Aifi e Arir, al Ministro della Salute Roberto Speranza e al Coordinatore della Commissione Salute della Conferenza delle Regioni, Luigi Genesio Icardi

La riabilitazione respiratoria è cosa seria: non lasciamola a proposte generaliste e talvolta inopportune, se non pericolose.

Lettera aperta, da parte delle Società Scientifiche Aipo-Its, Sip/Irs, Aifi e Arir, al Ministro della Salute Roberto Speranza e al Coordinatore della Commissione Salute della Conferenza delle Regioni, Luigi Genesio Icardi.

Le sigle sono complesse, ma indicano comunque Società che annoverano fior di pneumologi, fisioterapisti, riabilitatori dell’insufficienza respiratoria.

Costoro si dichiarano disposti a prendere in carico quanti sono usciti dall’incubo del coronavirus, specialmente coloro che ne sono usciti non senza danni e rischi conseguenti.

Questi esperti si sono riuniti in un Gruppo di Lavoro, che è espressione di chi opera quotidianamente nel campo delle malattie respiratorie.

Assicurano: “Obiettivo del Gruppo di Lavoro è quello di offrire la propria preparazione professionale ed autorevolezza scientifico-assistenziale per garantire approcci valutativi e interventi terapeutici specialistici, non solo farmacologici, ma anche di prevenzione, cura e riabilitazione, basati su una valutazione specialistica delle condizioni del paziente, sulla cura del danno organico riscontrato, sulla prevenzione delle complicanze secondarie, sull’utilizzo di indicatori di risultato specifici, validati e ben noti a chi solitamente si occupa in maniera specialistica di problematiche respiratorie e di alterazioni motorie conseguenti alle stesse”.

L’esperienza – garantiscono - è la prima fonte di accreditamento: “Gli esperti del Gruppo di Lavoro stanno osservando sul campo, giorno dopo giorno, i danni che questa infezione provoca, stanno studiando i tempi di recupero e si stanno impegnando nel riconoscere quali siano i percorsi di cura migliori da proporre immediatamente dopo l’evento acuto, alla dimissione dall’ospedale e nei mesi successivi, al fine di perseguire una ideale ripresa delle attività di vita nel contesto familiare, sociale e lavorativo”.

Cosa vogliono fare?

“Stratificare la popolazione dei pazienti in base alle specifiche esigenze di cura, personalizzando interventi, modalità e sedi, alla luce delle migliori conoscenze scientifiche”.

Perché il rischio maggiore è quello dell’improvvisazione e dunque mettono dunque in guardia, per la presa in carico del paziente COVID-19 “da interventi privi di una vera e propria cabina di regia, con proposte generaliste e talvolta inopportune, se non pericolose, prodotte da singole società scientifiche mediche o anche da singole realtà ospedaliere”.

Perché la buona volontà non basta, ma occorrono solide conoscenze e robusto bagaglio di esperienze: “Tali programmi, per quanto scaturiti da ottimi intenti, sono però spesso improvvisati, carenti di solidi presupposti e conoscenze di carattere fisiopatologico e clinico sul danno collegato all’insufficienza respiratoria in generale e su quella legata all’infezione COVID-19 in particolare”.

E ci sono parecchie cose da rivedere, circa le condizioni dei malati cronici. “Tutto ciò – concludono – non potrà disgiungersi da un altro importante tema di discussione che riguarda la riorganizzazione dei percorsi di riabilitazione respiratoria nel suo complesso, quindi anche quelli che vengono di consueto proposti ed erogati ai pazienti che non si sono ammalati per COVID-19, ma sono affetti da patologie respiratorie croniche e sono divenuti orfani delle strutture territoriali di riferimento, attualmente riconvertite per la gestione dei pazienti affetti dalla nuova epidemia virale”

In attesa di una risposta da parte del Ministero competente.

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