INVIATO CITTADINO "La cucina è arte, impegno, cultura… ma dissento da Alessandro Borghese"
Parla lo chef perugino Michele Radicchia. Classe 1980, dichiara di aver messo piede nella cucina per la prima volta nel lontano 1997. Insomma: un giovane che opera nel settore da un quarto di secolo
La cucina è arte, impegno, cultura… ma dissento da Alessandro Borghese. Parla lo chef perugino Michele Radicchia.
Classe 1980, dichiara di aver messo piede nella cucina per la prima volta nel lontano 1997. Insomma: un giovane che opera nel settore da un quarto di secolo.
Esordisce: “Ai miei inizi, il lavoro era di certo differente rispetto ad oggi. I cuochi professionisti, gli addetti alla ristorazione, gli Chef e la brigate di cucina avevano un approccio completamente diverso rispetto al modus operandi odierno”.
Troppa improvvisazione. “Purtroppo, complice anche la liberalizzazione e la crisi lavorativa, abbiamo avuto una forte svalutazione del lavoro nella ristorazione, giungendo fino all’attuale improvvisazione dilagante negli ambienti culinari”.
Cosa si è perso? Sapori e saperi?
“Certamente si è spezzato il filo rosso delle tradizioni. Si sono persi la conoscenza, lo studio, gli antichi sapori basilari e il gusto dell'arte del piatto strutturato (non di certo le decorazioni farlocche da social)”.
I danni del low cost. “Uno dei problemi è costituito anche dalle cucine low cost, etniche, che hanno invaso il mercato ormai saturo di Chinese Sushi, decentrando il bacino di utenza verso un’inconsapevole, modaiola, alimentazione di vuoto culturale e anche di basso beneficio salutare”.
Cosa non va nella cucina etnica? “Non voglio di certo puntare il dito verso le categorie di cucina etnica. Anzi, se ben fatta e con manodopera ineccepibile, ha un costo superiore a quello che si pensa”.
La qualità? “Riflettiamo bene sul basso costo di una cena, domandiamoci che prodotto stiamo mangiando. A lungo andare, la mediocrità di materie prime può comportare riflessi negativi sulla nostra salute fisica e mentale”.
I reality fanno bene o male alla categoria? “I reality culinari non aiutano di certo (ve lo posso garantire, avendo fatto parte del copione/finzione) con il loro approccio “facilone” nel pensiero dell'utente medio, che si reinventa food blogger, improvvisandosi recensore da piattaforma social. Ed è qui che gli addetti alla ristorazione genuina non possono mai permettersi un passo falso (come se fossimo automi), dato che ogni servizio potrebbe essere fonte di giudizi e pregiudizi, da parte di un pubblico non sufficientemente preparato”.
Quali i motivi del tuo dissenso rispetto alle dichiarazioni di Chef Alessandro Borghese?
“Purtroppo, nonostante lo ritenga un ottimo professionista, devo dissentire da alcune manifestazioni del suo pensiero, ampiamente rimbalzate su social e mass-media”.
Ti riferisci alla sua affermazione secondo la quale l’apprendistato dovrebbe essere gratuito?
“Chi lavora, chi impara deve essere pagato, perché è giusto che sia così. A seconda del livello di esperienza, ovviamente. E non è detto che per una buona resa bisogni restare in cucina 15 ore al giorno. Diciamocelo proprio: è vero il contrario”.
Quale la tua esperienza in proposito?
“Sono stato un ragazzo da gavetta nel 1997, e nessuno ha mai preteso lo facessi gratis e senza diritti. Anzi: gli stipendi erano di gran lunga superiori a quelli di oggi. Non esisteva stress da prestazioni, proprio per le motivazioni sopra citate”.
I giovani e il reddito di cittadinanza, cosa ne pensi?
“Mi allineo con quanti sostengono che il Reddito di Cittadinanza costituisca un problema: in parte è vero. Succede continuamente che i ventenni di oggi preferiscano non lavorare oppure chiedere lavoro in nero e continuare a percepire quel reddito”.
Di chi la colpa?
“Del fatto che negli ultimi dieci anni parecchi sono stati trattati, appunto, senza rispetto e con una retribuzione risibile e umiliante. Proprio come sostiene lo Chef Borghese e anche altri illustri colleghi e mecenati della ristorazione. Per questo mi sento di difendere i giovani e i loro diritti”.
Serve professionalità… che va ben compensata.
“Oggi le pretese sono sicuramente diverse; la saturazione del mercato è protagonista, e viviamo in un mondo con troppo ‘fumo’. Quindi abbiamo bisogno di essere più professionali e tramandare una cucina per cui siamo sempre stati il fiore all'occhiello mondiale. La passione e lo studio devono essere ripagati, in primis dalla coscienza e conoscenza del cliente, e poi da chi intraprende la ristorazione”.