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Carlo Acutis, il santo millenial dalla faccia pulita e un po' "nerd" che ha amato Cristo fino all'ultimo

Riceviamo e pubblichiamo le riflessioni di un giovane che ha partecipato alla beatificazione e ha fatto un incontro straordinario

La Chiesa ha beatificato Carlo Acutis, morto a soli 15 anni a causa di una leucemia. Un giovane indicato come esempio per le ultime generazioni, quelle dei millenial, quelle legate ad internet e ad un mondo che viaggia veloce e sembra non aver tempo per il divino. Fabrizio Caposiena, ragazzo pugliese di 25 anni da poco laureatosi in Giurisprudenza, ha voluto appronfondire la conoscenza della figura di Carlo Acutis e sabato era ad Assisi. Quelle che seguono sono le sue riflessioni su un evento che ha richiamato migliaia di persone.

"Lo scorso 10 ottobre, ad Assisi, è stata celebrata la messa di beatificazione del giovane Carlo Acutis, scomparso a soli 15 anni, nel 2006, a causa di una leucemia fulminante. Io, ragazzo dalla fede fragile e dai mille dubbi, ci sono stato. E vi spiego perché.

Come avrei mai potuto scoprire, nel 2020, la figura di Carlo Acutis? Ovvio, grazie a un video su TikTok che raccontava (ma guarda un po’) una “fake news”. Su internet circolava incontrollata una notizia sensazionale: la salma del Venerabile ragazzo amante di Gesù e dell’Eucarestia, che riposa presso il Santuario della Spogliazione ad Assisi, riesumata in occasione dei preparativi alla sua beatificazione, è stata trovata intatta, incorrotta. La voce era corroborata dalle foto di un corpo che, più che esanime, appariva dormiente. Ho provato un senso di sconcerto, mi sentivo immerso nella storia, nel mito. Mi sentivo testimone di uno di quei prodigi che ci raccontavano al Catechismo e che si perdevano nella notte dei tempi.

Nonostante il mio persistente scetticismo, mi sono documentato sulla figura di Carlo Acutis. Chi era? Un taumaturgo? Un profeta? Un asceta? Niente di tutto ciò. Carlo era un bravo ragazzo, forse un po’ nerd, con un’unica particolarità: un’attrazione ed un amore smisurato per Gesù Cristo e per la Chiesa, nell’accezione più nobile del termine. La sua forte sensibilità, mista ad una grande curiosità per il mistero del Dio fatto uomo, rendeva le sue parole, le sue opere, la sua vita avvolte da un’aura di saggezza e di autorevolezza, senza che venisse meno il candore dovuto alla giovane età.

All’esito delle mie ricerche, ero felice. Ero venuto a conoscenza di una personalità dalla fama mondiale, di un esempio che non sarebbe potuto essere che positivo. Poco dopo, una doccia gelata. Monsignor Sorrentino, vescovo di Assisi, smentisce il fenomeno sovrannaturale: il corpo di Carlo, nel momento della riesumazione, era nel normale stato di decomposizione; le sue fattezze sono state ricostruite in silicone, come nella migliore tradizione ecclesiastica, per garantire una migliore adorazione da parte dei fedeli. Mi fermo un attimo a riflettere: avevo preso un abbaglio? Mi trovavo di fronte ad una mera speculazione mediatica da parte della Chiesa? In un attimo tutte le mie certezze, tutto il mio entusiasmo sono crollati. Chi mi conosce lo sa: finché non trovo risposte soddisfacenti ai miei “perché”, non mi rassegno. Davvero il mancato “miracolo” rendeva meno interessante la storia e l’esperienza umana di Carlo? Davvero il carisma e la fama di quel ragazzo si sarebbero potuti fondare solo su un elemento fisico? Riacquistata la lucidità, giungo ad una conclusione: tutto ciò non rende Carlo Acutis meno santo, lo rende semplicemente più uomo. E non è un male.

Il mio vivere in Umbria ha complicato le cose. Nei giorni immediatamente antecedenti la cerimonia di beatificazione, sentivo parlare di Carlo Acutis ovunque. In me cresceva una morbosa curiosità: quel 10 ottobre dovevo assolutamente essere ad Assisi.

E ci sono andato. Come il cliente di un ristorante “all you can eat” che vuole provare tutte le pietanze del menù, mi ero posto l’obiettivo di non perdermi neanche un momento di quella giornata, inevitabilmente, straordinaria. Munito di pass col viso sorridente di Carlo, che sfoggiavo fiero, ho avuto accesso al prato antistante la Basilica di San Francesco ed ho preso parte alla messa, da un maxischermo. “Io sono la vite, voi siete i tralci; chi dimora in me e io in lui, porta molto frutto, poiché senza di me non potete far nulla. Se uno non dimora in me, è gettato via come il tralcio e si secca; poi questi tralci si raccolgono, si gettano nel fuoco e sono bruciati. Se dimorate in me e le mie parole dimorano in voi, domandate quel che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio, che portiate molto frutto, e così sarete miei discepoli.”. Le parole del Vangelo sembravano calzare a pennello per la vicenda umana di Carlo, un ragazzo che si è immerso appieno nella fede e ne ha fatto la ragione di vita.

Poco prima del momento della Comunione, da cattivo cristiano quale sono, sono scappato. Volevo arrivare alla tomba di Carlo prima che si formasse la calca. Giunto di fronte alle sue spoglie, ho sentito dentro me un misto tra pace e soddisfazione; nella mia testa ho pensato: “TI ho beccato! Ciao Carlo, piacere, finalmente ci conosciamo! Finalmente possiamo fare due chiacchiere!”. Ho adempiuto ad una promessa, fatta poco prima di partire a mia madre, e gli ho rivolto una preghiera. Anzi, siccome sentivo che di lui ci si poteva fidare, gliene ho fatta anche un’altra, a nome mio, molto più intima.

Accanto a me, di fronte alla tomba di Carlo, c’era don Albero Ravagnani, il sacerdote che sta spopolando ultimamente sui social e che seguo spesso. Ho visto anche quell’incontro come un segno: la mia fame di riscontri tridimensionali era ancor più soddisfatta.

All’uscita dal Santuario, la messa era ormai finita. Mi sono trovato di fronte ad un’immagine suggestiva: la gente, la gente di Carlo, si affrettava per andarlo a salutare, mentre io, controcorrente, tornavo nel luogo della celebrazione, da cui tutti stavano andando via. Sono stato travolto, non solo metaforicamente, da un’orda di gente entusiasta.

Tornato a casa, dopo aver appeso alla parete, come un trofeo, il pass, ho riflettuto sul successo pop di Carlo Acutis ed ho capito che vi è qualcosa di molto più profondo e nobile di una mera suggestione collettiva. Il culto di Carlo ha soddisfatto e soddisfa tutte le anime presenti all’interno del mondo cristiano: accanto ad una messa con canti gregoriani nella città più cristiana di tutte e ad un’adorazione della salma di stampo quasi medievale, vi è la fiera esposizione di un volto pulito, per nulla austero, di un ragazzo senza fronzoli, senza abiti solenni, senza segni di sofferenza corporale.

Carlo amava l’Eucarestia, che è Gesù che si offre a noi, ed ogni cristiano normalmente preparato e mediamente pigro sa che nell’Eucarestia sta la sintesi di tutto il messaggio del Vangelo. Carlo offre una sintesi, chiara, lineare, senza arzigogoli, di quello che vuol dire essere cristiani. Non ha studiato il neoplatonismo, non aveva le stimmate, non ha subito flagellazioni, non è vissuto in clausura. Carlo è un modello accessibile da parte di tutti. Carlo è morto a 15 anni, nel 2006. Amava internet, ne era, nel suo piccolo, un pioniere. Carlo è la prova che la “buona novella” può essere veicolata nei modi più vari e che, anche dietro ad uno schermo, può trovarsi del bene. E mai come in questo periodo abbiamo bisogno di lavorarci su.

Carlo Acutis è stato definito il primo “Santo Millenial”; io, personalmente, non do molto peso a queste vuote definizioni, dovute a mere evidenze anagrafiche. Carlo era figlio del suo tempo ed ha vissuto il suo tempo in maniera normale. La sua forza sta proprio in questo: aver reso straordinario l’ordinario e averci reinsegnato a stupirci della vita. Della nostra vita normale.

Qualche malizioso potrebbe chiedersi se la sua purezza sarebbe rimasta intatta anche se la malattia non l’avesse sottratto a questa terra giovanissimo. A noi non compete porci domande che non hanno risposta. Ci tocca solo inseguire un’ambizione: che la purezza di Carlo sia anche la nostra purezza".

Fabrizio Caposiena

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