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Una Chiesa vicina ai poveri e che punta sui giovani, il messaggio natalizio di monsignor Maffeis

Gli auguri di Natale dell’arcivescovo alla comunità diocesana a cento giorni dal suo arrivo

I primi cento giorni da arcivescovo di Perugia coincidono con il Natale per monsignor Ivan Maffeis e per questo suo primo appuntamento liturgico con a città, il presule ha voluto “parlare” a tutti i fedeli attraverso i media cattolici e un messaggio alla radio e sul web.

Partiamo dal fondo dell’intervista, che si conclude appunto con l’auguri di “buon Natale” e “buon anno” formulati prendendo lo spunto da “quel verbo impegnativo che accompagna la vita di san Giuseppe. San Giuseppe – ha detto monsignor Maffeis – è una bella figura perché è uno che non parla, è uno che opera nel silenzio, che c’è. Il verbo è quel ‘prese con sé’. Io auguro a me stesso e a tutti di sapere avvertire come questo prendere con sé consegna non solo la responsabilità per le persone che la vita ci ha affidato, ma ci consegna anche la bellezza della nostra vita, perché alla fine noi siamo le persone incontrate, siamo quel pezzo di vita che siamo riusciti a costruire insieme e a condividere. Nella misura in cui questo cresce sarà un buon Natale e un buon anno per tutti”.

Monsignor Maffeis ha sottolineato come in questo periodo abbia “imparato a incontrare le persone … tante persone molto belle, conosciute in ambiti anche problematici, ma dove vedi una disponibilità, una voglia di riscatto, dove trovi anche motivo di speranza su cui lavorare”.

Diversi sono stati i temi affrontati nell’intervista, spazianti dal mondo dei giovani a quello del lavoro, dalla povertà alla carità, dalla Chiesa in uscita e in dialogo con il mondo laico e delle Istituzioni alla crisi delle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata. Non è stato pessimista, ma realista, soprattutto ottimista nel trasmettere speranza. Sulla crisi del lavoro ha precisato: “Trovo un mondo preoccupato, ma anche sanamente orgoglioso di una competenza, di una capacità, di una voglia di riscatto, di mettersi in piedi e ripartire”.

Sul fronte povertà-carità non ha esitato a dire: “Io mi auguro che la Chiesa contribuisca a far cultura attorno a questo tema. E far cultura vuol dire sicuramente collaborare con i servizi sociali, con le Istituzioni per cercare le risposte”.

Sul dialogo con il mondo laico si è augurato di “non essere frainteso, ma credo che oggi – ha evidenziato – i confini siano davvero saltati… Oggi ci è chiesto di andare al di là, e dove c’è la disponibilità ad incontrarsi, dove c’è la disponibilità ad ascoltarsi, a portare ciascuno il proprio contributo di vita e a camminare insieme, beh, io penso che ci siano delle ottime opportunità per ricostruire comunità”.

Soffermandosi sui giovani e sulla crisi delle vocazioni, l’arcivescovo è convinto che “i prossimi anni cambieranno il volto di tante nostre comunità… Ho trovato tanti sacerdoti splendidi per dedizione ma anche molto anziani ed io mi auguro che non ci fermiamo solo a piangere per quello che non c’è più, ma riusciamo a interpretare questo tempo come un’occasione per ridisegnare anche un voto nuovo di Chiesa… Io sogno davvero una Chiesa di popolo, una Chiesa in cui come battezzati abbiamo la stessa dignità. All’interno di questo cammino di Chiesa, il poter valorizzare la disponibilità, la chiamata, la vocazione di ciascuno, credo che serva non solo per il servizio che poi ciascuno rende, ma anche per dare un volto bello, un volto giovane alla Chiesa di domani”.

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