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INVIATO CITTADINO Quando Artemio Giovagnoni (da Perugia) spediva all’Inferno ‘dantesco’ don Nazareno Bartocci (da Valdirose)

Uno, il drammaturgo del Borgo d’Oro. L’altro, il parroco di San Donato all’Elce. Un’accoppiata di lusso

Oggi, 24 dicembre 2022, lo scultore e drammaturgo Artemio Giovagnoni avrebbe compiuto un secolo di vita. L’Inviato Cittadino regala ai nostri lettori il ricordo di un’esperienza giovanile dell’artista, quando recitava e scriveva copioni per il Teatrino dei Salesiani di Porta S. Angelo. Un modo per ricordare la straordinaria creatività del massimo autore teatrale nella lingua del Grifo.

Quando Artemio Giovagnoni (da Perugia) spediva all’Inferno ‘dantesco’ don Nazareno Bartocci (da Valdirose di Lisciano Niccone). E fu subito soprannome: don Brillantina.

Un’accoppiata di lusso. 

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Uno, il drammaturgo del Borgo d’Oro. L’altro, il parroco di San Donato all’Elce. 

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Siamo nei primi anni Cinquanta del Novecento e uno spettacolo di punta al teatrino dei Salesiani fu il dantesco “Lasciate ogni speranza voi ch’entrate”. Ci lavoravano a quattro mani, come autori, Franco Bicini e Artemio Giovagnoni.

Racconta Artemio in un suo simpatico ricordo: “Il Diavolo Malacoda (Franco Siniscalchi), segretario di Lucifero (Franco Bicini), trascinava i condannati davanti al Capo per sottoporli a un sommario processo, prima di destinarli ai vari gironi”.

Il buffo è che, dopo la condanna, il diavolo Malacoda spingeva i dannati verso una botola del palcoscenico. Gli attori scendevano attraverso una scaletta, mentre da sotto un collaboratore metteva delle pasticche d’incenso dentro uno scaldino generando un effetto fumo. Insomma: la perfetta simulazione di un’atmosfera infernale.

Ed ecco la citazione di don Nazareno.

Appariva un pretino, preciso, elegantissimo, con una vera tonaca confezionata da Giannino Tei, specialista del ramo, in quanto cuciva realmente tonache per preti “veri”.

Entrava dunque in scena don Nazareno. O meglio: il suo sosia. Raffaele Malà, nel ruolo del prete, che si lamentava dicendo: “Ma io sono un prete perbene e devoto. Non capisco perché mi avete portato qui”.

La riposta: “Perché sono quattro anni che hai cominciato a costruire la nuova chiesa all’Elce e non sei riuscito a completarla”.

“Mica ho colpa io – ribatteva il finto don Nazareno – è che mancano i soldi!”.

“Trovali! E poi, prete, vieni qui! Abbassa la testa. Cos’è questo profumo? Che brillantina adoperi?”

“La Tricofilina”

“Ma non ti vergogni?”

“Ma è per mantenere l’ondulazione, mica perché odora!”.

A questo punto, Lucifero ordinava: “Malacoda, buttalo giù nel girone dei vanitosi!”.

“Subito, Capo!”. E il finto don Nazareno scompariva nella botola fra sbuffi di incenso.

Il bello è che il vero don Nazareno, che frequentava il teatrino dei Salesiani, abitando in Porta Sant’Angelo, nell’assistere alla rappresentazione, rideva a crepapelle. Insomma: stava allo scherzo.

La verità è che don Bartocci di capelli ne aveva pochi e teneva fermo il riporto con la brillantina. Da qui il soprannome di “Don Brillantina” che si trascinò per tutta la vita.

Quanto, poi, al rapporto con Giovagnoni, basti ricordare che la chiesa di San Donato include ben otto opere del drammaturgo-scultore (crocifisso, ambone, fonte battesimale, pale d’altare ed altro). Chissà se quelle opere furono mai pagate. O se il buon e religiosissimo Artemio ne avrà fatto dono all’amico “Don Brillantina”.

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