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Quei cipressi al Tempio di San Michele Arcangelo languono e rischiano di seccarsi

Potrebbero essere condannati a fare la fine dei precedenti

Quei cipressi al Tempio di San Michele Arcangelo languono e rischiano di seccarsi. Potrebbero essere condannati a fare la fine dei precedenti. Quando un dono è negletto. Si direbbe, in lingua perugina, che “lo zucchero nn’è fatto pi somari”. Absit iniuria verbis. A significare che “a caval donato si guarda in bocca”… e lo si porta dal veterinario.

Quei cipressi (6 cipressi d’alto fusto e la loro manutenzione per cinque anni) sono un regalo di Donna Ilaria Borletti Buitoni, fatto col cuore, per il decoro della città. Operazione WeTree, alberi custodi, come ha voluto chiamarli Nives Tei, con efficace metafora. Quella teoria di sempreverdi sono come la corona sul capo di un regnante. Senza vegetazione, quel luogo perde autorità. Il monumento aveva dissipato il suo storico appeal, con quel prato in disordine e la teoria di cipressi mutila e priva di continuità.

C’è stato chi ha avuto cura di restituire rispetto e identità all’antico Padiglione d’Orlando. Finalmente piante adulte, costate impegno e denaro, sono state messe a dimora in sostituzione delle mancanti, ammalorate.

Cerimonia di ringraziamento a San Matteo degli Armeni, con autorità schierate a rendere omaggio e ad esprimere pubblica gratitudine.

Già ci era sembrato incongruo – per non dire offensivo - il fatto che la signora Borletti Buitoni fosse messa nella condizione di “pietire” un misero rubinetto per dare da bere a quelle piante.

Amministratori accorti, in simili frangenti, avrebbero messo a disposizione dell’impresa una schiera di idraulici, per ottemperare alle legittime esigenze di quelle giovani piante. Ma così non è stato.

In aggiunta alla piantumazione, la presidente del FAI ha donato anche l’illuminazione, mai troppo lodata. Ma, come si dice, “Fatta la festa, gabbato lo santo”.

Infatti, a distanza di qualche giorno, si viene a scoprire che, senz’acqua, quegli alberi rischiano di morire. La scoperta dell’acqua che non c’è: né calda né fredda! Allora l’Inviato Cittadino alza la cornetta e fa qualche chiamata. Scandalo, vergogna. Un coro di proteste.

E il Comune manda un’autobotte in emergenza a tamponare la falla. Soluzione costosa e provvisoria. Dato che non si possono inviare autobotti in continuazione. E, di solito, chi è dotato di semplice buon senso sceglie la strada più normale. Ossia quella di collegare un tubo volante, in attesa di una soluzione definitiva e a scomparsa, per dissetare quelle piante impedendone l’estinzione.

Ma il buon senso non abita più fra i travertini della Vetusta. Roba da far vergognare Euliste i cui discendenti hanno perso il senno. Con perfida analogia: davanti al padiglione d’Orlando. Destino cinico e baro!

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