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Lunedì, 29 Aprile 2024
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L'indiscreto di Maurizio Ronconi | Tra continuismo e nuovismo, le incertezze del PD chiamato ad una difficile rivincita

Le elezioni amministrative della prossima primavera offriranno un importante segno sullo stato di salute degli schieramenti in campo, giudicheranno le scelte in vista delle regionali dell’autunno. Non è che nel centro destra sia tutto pacifico, anzi. Se la Lega dovesse a Perugia e a Foligno, centri più importanti dove si voterà per i rinnovi dei rispettivi consigli comunali, flettere di molto, lo stesso ruolo della Presidente della Giunta regionale potrebbe essere rimesso in discussione. Ma ancora più indecifrabile è quello che sta succedendo nel Pd, chiamato ad una rivincita della quale però ancora non si scorgono i segni. Quale sia la strategia di approccio alle elezioni da parte del Pd appare ancora assai incerto, perfino contraddittorio.

Con la scelta dei candidati sindaci da un lato emerge una volontà di radicale rinnovamento a costo perfino di andare a pescare candidati non solo fuori dal recinto partitico ma ben oltre. D’altra, sfruttando un recentissimo e, a mio avviso, disgraziato emendamento del governo, riconfermare nelle città al di sotto dei 15.000 abitanti, sindaci per il terzo mandato. Ovvero scelte diverse, contraddittorie ma che vanno tutte nel senso della mortificazione di una classe dirigente che ha resistito allo tsunami elettorale degli ultimi anni, al drastico ridimensionamento del Pd ma anche alla necessità della crescita di una nuova classe politica e amministrativa. Nei comuni più grandi, Perugia e Foligno, ma così fu anche nella perdente vicenda ternana, il Pd è andato alla ricerca di candidati sindaci ben distanti dal partito, spesso perfino estranei alla politica. Nota di merito era quella di non essere mai stati militanti.

Ma la politica, soprattutto a determinati livelli è anche professionalità, predisposizione, esperienza. Dall’altra parte invece assistiamo alla riproposizione per il terzo mandato di sindaci più che collaudati, inchiodati sui loro scranni, ormai dei professionisti della sindacatura. A parte il fatto che con queste scelte si va a determinare, cavallo di battaglia tipicamente della destra, l’allungamento a tempo indeterminato delle cariche sindacali, nei comuni più piccoli si soffoca la volontà di impegno politico da parte dei più giovani e, quel che peggio, assimila il sindaco ad una specie di podestà, dominus di una comunità condannata alla asfissia democratica.

Il Pd dovrà scegliere tra il continuismo e il nuovismo, meglio sarebbe una scelta intermedia e abbandonare nei comuni più grandi l’insensata volontà di accordi “di campo largo” ovvero la ricerca di improbabili alleanze con partiti e movimenti assai diversi per storia e radicamento e sfruttare invece una legge elettorale per i comuni che permette anche convergenze nel secondo turno permettendo così di preservare le peculiarità di ogni partito e di unire le forze semmai solo al secondo turno. Questo permetterebbe scelte di candidati non più troppo mediati ma più politici, più coerenti e vicini al partito proponente.

Nei comuni più piccoli, quelli in cui si vota in un solo turno, evitare il terzo mandato offrirebbe un segno di coerenza con quanto sostenuto nei dibattiti parlamentari e non soffocherebbe definitivamente il confronto politico locale oltre che incoraggiare giovani all’impegno. Un rischio che varrebbe la pena di correre se si vuole costruire un partito moderno e nuovamente partecipato.
È difficile immaginare che il Pd di oggi abbia il coraggio di cambiare rotta, anzi, di scegliere una direzione più coerente, non più zizzagante tra la volontà di un nuovismo male inteso e un continuismo soffocante.

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