PROPOSTA PD Un nuovo paradigma di sviluppo economico per l'Umbria del Futuro
Riceviamo e pubblichiamo testo integrale dal Pd.
UN NUOVO PARADIGMA DI SVILUPPO ECONOMICO PER L’UMBRIA DEL FUTURO
Premessa macroeconomica
Dall’inizio della crisi economica che stiamo tuttora subendo abbiamo registrato un calo del PIL di
11 punti nel giro di 5-6 anni, con un livello di disoccupazione giovanile che ha raggiunto livelli da
vero incubo. Gli investimenti pubblici sono nel frattempo crollati del 30% e quelli privati del 25%.
Sulla spinta di un impeto consolatorio si tende spesso a ricordare, peraltro correttamente, come
l’Italia resti la seconda manifattura d’Europa, ma si dimentica tuttavia di aggiungere come proprio
la seconda manifattura d’Europa abbia, dagli inizi di questo secolo, perso posizioni su posizioni
in termini di Pil pro-capite arrivando addirittura a scendere sotto il dato medio dell’Europa a 27,
quella, per intenderci, comprendente anche Romania e la Bulgaria.
Il fatto è che ci si ostina ad affrontare come un mero problema di finanza pubblica quello che è
invece un problema di mancata crescita, un affievolirsi cioè delle stesse potenzialità espansive,
restando aggrovigliati dentro un nodo strutturale peraltro preesistente allo stesso esplodere della
crisi. Si confida così di ottenere qualche risultato (che tuttavia non arriva mai) da manovre di
natura macroeconomica, puntando sulle leve dei flussi delle entrate e delle uscite del bilancio
statale. Dovrebbe invece essere ormai evidente come la questione sia di natura eminentemente
microeconomica, e richiederebbe quindi di adoperarsi per intervenire innanzitutto sulle tante
vischiosità ed inefficienze che frenano la produttività totale dei fattori, per non parlare della
crescente e preoccupante incapacità ad innovare ed a promuovere una sostenibile visione di
futuro.
Giustamente si fanno spesso confronti con l’altra grande manifattura europea, quella tedesca
che resta saldamente la prima del continente. Poco si riflette tuttavia su alcuni dati eclatanti
che emergono per la loro emblematicità a partire da quelli riferiti agli investimenti in Ricerca e
Sviluppo dove le prime due imprese germaniche registrano da sole un impegno complessivo pari
alla somma delle prime 100 aziende italiane. Con analoga noncuranza viene assunta la lezione
che bisognerebbe invece trarre, anche nelle sue implicazioni economiche, dalla chiara svolta
green che è stata impressa alla politica industriale di quel Paese, tale da consentire allo stesso di
acquisire una leadership indiscussa in settori strategicamente cruciali ed a forte crescita.
Dobbiamo essere consapevoli che la fuoriuscita dalla crisi si calerà su di un appartato sociale
ed economico comunque radicalmente modificato in modo irreversibile nei suoi preesistenti e
tradizionali profili di struttura. Per tale motivo il nodo cruciale, in ambito nazionale ma anche
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regionale, consiste nell’identificare un paradigma di sviluppo economico capace di costituire la
base di una traiettoria specifica di crescita, soprattutto qualitativa, di ampio spettro, che sappia
ricomprendere in sé tanto la dimensione settoriale che la specificità territoriale e la stessa
dimensione istituzionale e d’impresa.
Pur ritenendo che in termini di sviluppo occorra comunque privilegiare i settori emergenti con
particolare priorità a quelli high tech e science based, l’approccio delineato porta a superare tutte
quelle vecchie dicotomie ed incrostazioni di varia natura che sono ancora presenti nel dibattito
economico quali:
a. Le classificazioni settoriali nella suddivisione fra settori in crescita, settori maturi a comparti
in declino;
b. Le classificazioni del tasso di innovazione nella gradazione fra settori low tech a quelli
medium tech a quelli high tech;
c. Le classificazioni territoriali, dai modelli locali di sviluppo fondati sulle grandi imprese a
quelli tipicamente distrettuali;
d. Le classificazioni dei modelli di governance delle imprese, da quelle manageriali a quelle
familiari a quelle cooperative.
In altri termini, il paradigma di sviluppo supera le preesistenti obsolete classificazioni
riconducendole a un modello relativamente integrato di crescita sociale ed economica. Tutto ciò
significa ovviamente che anche le attività delle istituzioni pubbliche di governo (con le loro iniziative
di policy), nonché le attività di ricerca e sviluppo sino alle strategie di aggregazione delle imprese
(reti di imprese, consorzi, cluster, ecc..) possono indirizzarsi coerentemente all’interno di questo
paradigma di sviluppo.
Modello Umbria
A livello regionale (ma non solo visto il doveroso dibattito che deve essere aperto sulle dimensioni
regionali dell’Umbria e delle regioni limitrofe), si propone un paradigma di sviluppo – da portare
ovviamente anche nelle sedi istituzionali nazionali e europee – con “vista lunga” e fondato sul
concetto di “sostenibilità” coniugato nei seguenti elementi:
a. Sostenibilità ambientale;
b. Sostenibilità economica;
c. Sostenibilità sociale.
a. Sostenibilità ambientale: Condizione fondamentale del modello di sviluppo che si intende
promuovere sarà di salvaguardare un bene primario come l’ambiente naturale e il
territorio inteso come sistema di persone, culture, bellezza e storia. Si tratta di superare
l’approccio ormai obsoleto e perdente della cosiddetta “economia di prodotto” dove gli
obiettivi di sviluppo economico vengono visti necessariamente in contraddizione con quelli
di tutela ambientale, considerando invece questi ultimi come un robusto driver per rilanciare
un nuovo ciclo. Si tratta quindi di impostare lo sviluppo attraverso un approccio sistemico
in cui le risorse naturali e storiche del nostro territorio sono i valori da cui ripartire e non
freni inibitori. Questa visione presuppone l'identificazione di nuovi sentieri di sviluppo,
già in parte attivati, attorno ai quali ruoteranno i nuovi ed emergenti bisogni dell’umanità,
basati a loro volta sull'uso consapevole delle risorse rinnovabili per scopi energetici e/
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o al fine di produrre nuovi beni (si pensi alla chimica verde ad esempio) attraverso un
processo virtuoso, cosiddetto a cascata, che porterà nel medio e lungo periodo anche alla
riduzione e valorizzazione dei rifiuti stessi. La nostra regione, già fortemente caratterizzata
in tale direzione (Umbria verde, Umbria delle Acque), deve candidarsi non solo ad essere
un esempio di sostenibilità ambientale ma anche di capacità di costruire competenze in
nuovi comparti dell’industria, dell’agricoltura e dei servizi, capaci di offrire nuovi beni e
nuovi servizi a favore dell’umanità, con maggiori gradi di sostenibilità ambientale in termini
di risparmio di materie prime, di energia e di emissioni di gas serra promuovendo sempre
più il modello di economia circolare in una ottica produttiva “cradle to cradle” che, partendo
dall’ecodesign , permetterà di risparmiare, riutilizzare e riciclare.
“Ciò che fa la differenza tra un giardino e il deserto non è l’acqua, ma l’uomo.” Proverbio
arabo.
b. Sostenibilità economica: il processo produttivo deve potersi riprodurre nel tempo, adattarsi
e quindi autoalimentarsi senza dover dipendere da fattori “droganti” e senza strappi troppo
traumatici. Tale sostenibilità deve essere messa in relazione anche con gli investimenti
pubblici che dovranno essere sostenuti e assecondati. Si tratta di monitorare l’efficienza e
l’efficacia di tali investimenti in relazione alla loro capacità di contenere strutturalmente la
spesa pubblica corrente e di generare moltiplicatori positivi rispetto al sistema economico
locale. Non è più possibile portare avanti programmi di investimenti e spesa pubblica a
prescindere da una minima di dimostrazione della loro reale utilità ed efficacia. Non è
più possibile continuare a perseguire inerzialmente sentieri consueti senza pretendere di
rendere conto di quanto è stato costruito/ottenuto con quanto fin qui attuato.
Inoltre, laddove gli investimenti sono generatori strutturali di un aumento di spesa pubblica
corrente oppure laddove essi non presentano caratteristiche di moltiplicazione delle
opportunità di sviluppo locale non dovranno essere avallati e perseguiti. Si auspicano
quindi, in un ottica di massima apertura, modelli di istituzione pubblica che favoriscano la
trasparenza, l’efficienza e l’accountability delle procedure decisionali. Non solo, l’apertura
deve essere intesa come la capacità di attrarre, nella nostra regione, nuove persone
giovani di talento e creative, magari che vogliono intraprendere un’attività innovativa di
impresa. Infine, l’apertura implica anche la possibilità, di fronte a processi di privatizzazione
di public utilities o di beni pubblici in senso lato, di riscoprire e valorizzare la proprietà
comunitaria, ossia tramite la partecipazione, tramite cittadini nel loro ruolo di proprietari,
nell’offerta di beni e servizi a favore dell’intera comunità. Non è più possibile consentire
il mantenimento di riserve di caccia, orticelli e connesse rendite di posizione, che si
traducono nel perpetuarsi di privilegi, tutela degli interessi di pochi e mantenimento di
posizioni di potere. A tale riguardo c’è da concludere il percorso di razionalizzazione delle
cosiddette “Partecipate pubbliche”.
In sintesi è auspicabile comunque la costruzione di filiere di valore locali, che vanno
dalla produzione all’utilizzo di beni e servizi secondo criteri di sostenibilità ambientale e
rispetto delle leggi vigenti in materia. (Esempi: acquisti verdi da parte delle P.A, efficienza
energetica, shopper e rifiuti). L’appetibilità di tali prodotti in termini di tecnologia e
sostenibilità ambientale determinerà poi il loro utilizzo anche al di fuori dell’Umbria.
“Non è la terra che appartiene all’uomo, ma è l’uomo che appartiene alla terra”. Toro
Seduto
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c. Sostenibilità sociale: il processo di sviluppo economico deve essere inclusivo dal punto di
vista sociale e quindi non può creare emarginazione e deve andare oltre il favorire le pari
opportunità. La concentrazione della ricchezza sta crescendo e si stanno ampliando i fattori
della diseguaglianza economica. Fermo restando che la ripresa di un sostenuto ciclo di
crescita economica rappresenta il primo fattore di riduzione del processo di concentrazione
della ricchezza, ciò implica, tra l’altro, il perseguimento di progetti capaci di ridurre le
diseguaglianze generazionali, soprattutto rimuovendo gli ostacoli ad una vera eguaglianza
delle opportunità. Ciò significa un’attenzione primaria ai giovani, con particolare riferimento
al mondo della scuola e al loro inserimento nel mercato del lavoro in modo da scongiurare
la cosiddetta “fuga di cervelli” , nonché alle categorie sociali svantaggiate (dai disabili
agli ex tossicodipendenti, ecc..). Si tratta pertanto di lavorare sulla progettazione di un
nuovo modello di welfare, capace di generare nuove opportunità di lavoro per i giovani e le
categorie svantaggiate.
Questi tre aspetti/obiettivi, che rappresentano gli elementi comuni e caratterizzanti del paradigma
di sviluppo, è indispensabile che vengano considerati e quindi perseguiti congiuntamente, visto
che ciascuno di essi è fortemente collegato agli altri essendone parte integrante. Non è infatti
pensabile la sostenibilità economica senza quella ambientale, come pure quella sociale senza
quella economica.
Questo nuovo approccio che potremmo definire della “sostenibilità coniugata” supera quindi
il logoro ed ormai obsoleto antagonismo tra tutela ambientale, obiettivi di crescita economica
e inclusione sociale sostanziando un nuovo modello economico che possiamo qualificare
“economia eco-sociale di mercato” quale evoluzione naturale di quello attuale denominato
“economia sociale di mercato”.
Driver Umbria
1. Sistema produttivo
Abbiamo bisogno di un Piano di Politica Industriale con “vista lunga” (magari in sintonia
con il Piano industriale nazionale che ancora latita) che indichi pochi obiettivi da perseguire
ed a cui dedicare tutte le risorse disponibili. Oggi le politiche pubbliche si confrontano con
una doppia esigenza: da un lato quella di attenuare la crisi economica e mitigarne gli effetti
negativi sul piano sociale, dall’altro irrobustire la riqualificazione e l’avanzamento di parti
importanti del sistema produttivo per soddisfare la sostenibilità economica. Tali esigenze
vanno soddisfatte nei limiti delle disponibilità dell’intervento pubblico e in un contesto di
“effetto leva finanziaria”, ma comunque con strumenti specifici e quindi distinti: ciò che
va bene per mitigare gli effetti sociali della crisi, per esempio, non è detto che funzioni
per promuovere la capacità innovativa delle imprese. E’ importante salvaguardare le
realtà produttive esistenti, ma al tempo stesso sarebbe un suicidio limitarsi ad inseguire
le crisi industriali, senza lavorare seriamente per un adattamento evolutivo del sistema
produttivo umbro che lo metta in grado di competere qualitativamente (made in Italy) sugli
scenari economici internazionali in forte cambiamento e crescita. A tale riguardo appare
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fondamentale accompagnare la politica industriale con interventi più diffusivi e con una
profonda rivisitazione dell’esperienza dei “Poli di innovazione” tendente a interventi di
sostegno rivolti a progetti di ricerca e sviluppo portati avanti da pochi e selezionati cluster
d’imprese e centri di ricerca, ivi comprese le Università, in coerenza con gli orientamenti
della strategia regionale di specializzazione intelligente.
Si propone pertanto la strutturazione di pochissimi cluster d’imprese legati tra l’altro alla
cultura e saper fare locale (agro-alimentare, aereospaziale, chimica verde, energia e
pochissimi altri) da selezionare secondo il criterio delle competenze, know-how, prodotti
e forte motivazione a condividere obiettivi finalizzati all’internazionalizzazione. Ciascun
cluster dovrà essere coordinato da una impresa leader di eccellenza – magari locale
se possibile - che abbia dimensioni, caratteristiche e mezzi tali da svolgere il “ ruolo di
locomotiva” per tutte le altre.
Con ciò non si vuol sostenere che le aziende, soprattutto micro e piccole, che non
partecipano i cluster debbano essere escluse dal progetto di sviluppo. Tutt’altro, queste
ultime potranno garantirsi futuro seguitando a fare quello che sanno e vogliono fare in
coerenza però con il modello di sostenibilità sopra descritto; beneficiando comunque
direttamente ed indirettamente delle economie sviluppate dai cluster.
In modo particolare dovranno far parte della strategia regionale produttiva
l’implementazione e la rivitalizzazione dei seguenti comparti:
a. Edilizia
(ristrutturazioni, nobilitazioni, ricostruzioni, manutenzioni all’insegna del risparmio
ed efficienza energetica e della telemedicina. A tale riguardo è auspicabile
l’aggiornamento in senso più ambizioso del traguardo del 10% di efficientamento
fissato dall’attuale L.R.)
b. Energia
(implementare la produzione e l’autoproduzione di energia da fonti rinnovabili non in
modo centralizzato, ma diffuso sul territorio, attivare percorsi che prevedano l’utilizzo
di risorse rinnovabili per filiere ad alto valore aggiunto e recupero degli scarti per la
valorizzazione energetica- bioraffinerie)
c. Riciclo
(attivare imprese/cluster per tutti i materiali da riciclare anche per chiudere il ciclo
dei rifiuti, dare senso economico alla raccolta differenziata e continuità premiante ai
cittadini)
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2. Sistema terziario e agricolo
a.Filiera Ambiente-Cultura-Prodotti Tipici-Enogastronomia-Artigianato Artistico
finalizzata all’accoglienza di qualità; accoglienza che trarrà enormi benefici dalla
caratterizzazione ambientale delle produzioni e dei consumi.
(implementare le infrastrutture, le certificazioni ambientali sempre più qualificanti e
rapporti strutturati con i tour operator)
3. “Cassetta degli attrezzi” (non esaustiva)
a) Piano di politica industriale
b) Utilizzo dei cluster in ottica di medio e lungo periodo
c) Individuazione aziende leader per ruolo “locomotiva” dei cluster
d) Credito:
e) Infrastrutture:
f) Risorse pubbliche:
g) Sistemi di certificazione ambientali sempre più qualificanti ed evidenti (brand
Umbria)
h) Fiscalità selettiva e premiale in funzione degli obiettivi del Piano industriale
i) Accordi strutturali con le Università e Centri di Ricerca in funzione degli obiettivi del
Piano industriale
j) Sostegno ai giovani nella costituzione e gestione delle start-up
k) Rapporti strutturati e continui con le società multinazionali con focus particolare e
urgente sulla situazione Nestlè-Perugina.
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l) Piano di ridimensionamento e ristrutturazione delle società partecipate da Enti
Pubblici
m) Politiche attive del lavoro in concorso con il Dipartimento Lavoro.
n) Semplificazione e Sburocratizzazione.
o) Azioni legislative/amministrative rivolte a scongiurare processi di corruzione e
garantire trasparenza e legalità diffusa.