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Martedì, 23 Aprile 2024
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Lamberto Ferranti racconta le vicende della Legione ceco-slovacca in Umbria

Il libro “L’onore di un uomo è la sua libertà” costituisce uno studio originalissimo e prezioso

Un libro di Lamberto Ferranti (“L’onore di un uomo è la sua libertà”) costituisce uno studio originalissimo e prezioso.

La frase del titolo è quella custodita nel cuore di soldati boemi, moravi, slesiani e slovacchi che rifiutarono di vestire la divisa austro-ungarica nel corso della prima Guerra Mondiale.

Un libro corredato dalle testimonianze di un ministro, tre ambasciatori, di cui uno italiano, Francesco Saverio Nisio. E, su richiesta dell’amico studioso, con una introduzione dell’Inviato Cittadino.

Merito di Ferranti aver portato alla luce come l’Umbria abbia battezzato, sostenuto, addestrato una formazione armata, nata prima del Paese di appartenenza. Circostanza assolutamente inusuale: questa che vede un esercito (nella forma iniziale di “Legione”) precedere la formazione dell’entità politica e territoriale che è chiamato a difendere.

L’Umbria generosa accoglie giovani legionari ancora senza patria (“i biondi eroi”) e convintamente li asseconda (“non più prigionieri, ma soldati”), nella persuasa volontà di realizzare la loro indipendenza, il loro diritto alla libera autodeterminazione.

Relazioni che assumono le forme della più convinta accoglienza. Operazione passata non solo per le forme “alte” della politica, della diplomazia, dei poteri militari. Ma che trova concretezza e solidarietà anche attraverso l’attivo coinvolgimento della società civile, della “gente”, per non dire del “popolo”, termine che rischia di apparire retorico, se parametrato con le scale di valori linguistici e antropologici attuali. Come non viene trascurato il robusto appoggio della stampa, della politica e dell’intellighenzia locale: i festeggiamenti al Morlacchi e al Turreno e in altre località umbre, con manifestazioni marcate da un consenso unanime e persuaso.

Il documentatissimo studio di Ferranti mette inoltre a fuoco alcuni significativi risvolti che punteggiano il segmento cronologico della prima guerra mondiale. Contribuendo a delineare – con qualcosa che va oltre le pennellate di contorno – l’ampio e doloroso affresco di questo tragico evento.

Ferranti ora integra e completa la precedente ricerca, arricchendola con ulteriori elementi documentari, con puntuali approfondimenti, impreziositi da un’adeguata e organica riflessione storica. E col supporto iconografico relativo a personaggi, paesaggi antropizzati, riproduzione di documenti, cercati con meticolosa ostinazione e proposti a integrazione del testo.

Merito dello studio di Ferranti anche quello di aver sdoganato il ruolo assunto da personaggi umbri nella creazione di un esercito in nuce. A costoro vengono meritatamente restituiti i dovuti meriti.

Fra le motivazioni che indussero alla scelta dell’Umbria come casa madre della legione, risultano prioritari i motivi logistici e la conformazione geografica della terra dei santi Francesco, Chiara e Benedetto. Segnatamente idoneo risultò il folignate, dove furono concentrate le truppe.

Sul piano ideale, non è da trascurare il convinto fiancheggiamento di elementi di spicco dell’ambiente massonico, e dello stesso Presidente della Deputazione di storia Patria per l’Umbria, Girolamo Girolami, àmbito nel quale la ricerca di Ferranti risulta particolarmente esaustiva.

Dato l’elevato numero di componenti della Legione (racconta Ferranti), fu necessario andare oltre Foligno e spostarne parecchi a Perugia, Spello, Assisi, Bastia Umbra, Santa Maria degli Angeli, Spoleto, Narni, Cesi, Bevagna, Montefalco, Campello sul Clitunno e Trevi. In questo modo, la febbre legionaria contagia una parte consistente della regione, diventando epidemia di volenteroso fiancheggiamento.

Mi pare, insomma, che lo studio di Lamberto Ferranti colmi egregiamente una lacuna e che alle sue ricerche sia da attribuire più di un pregio.

Fra i meriti, mi piace ricordare la puntuale narrazione della vicenda della morte, del funerale, della sepoltura del legionario boemo Josef Matuška, cui il Comune di Perugia deliberò di donare il terreno entro il quale riposano ancora i suoi resti mortali, vicino all’Altare della Patria, in sintonia d’ideali di libertà coi morti del XX Giugno. Su quel cippo qualcuno posa, ancor oggi, un mazzo di garofani, su quel terreno si nota un vaso di ciclamini rossi, a ricordo di un sacrificio doloroso e di un affetto condiviso.

Osserva Ferranti: “Ma la sua storia, il suo esempio, sono oramai storia della nostra città. E poi… il corpo è corruttibile e limitato, lo spirito no. E per questo ci piace pensare che nelle domeniche di maggio Josef possa, con un balzo, saltare dalla pietra per tornare alla sua casa o alla collina di Lacugnano, dove può ancora assaporare i colori ed annusare i profumi”.

Osservazione poetica e spirituale che ci fa pensare come Ferranti, oltre che con l’acribia dello storico, senta, ragioni e scriva con l’intelligenza del cuore.

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