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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Economia

Così si 'uccidono' bar, ristoranti e trattorie dell'Umbria. Il grido disperato: "Moltissimi non riapriranno: il Governo cambi rotta"

Il presidente umbro Romano Cardinali: “Insufficienti gli interventi di governo e amministrazioni locali: a rischio quasi 5 mila imprese umbre”. Ecco le richieste fatte per far sopravvivere un settore fondamentale.

Il giudizio è chiaro: la strategia di un sostegno immediato del Governo non funziona e non è di largo respiro. Non lo dicono i politici ma i piccoli imprenditori che gestiscono bar, trattorie e ristoranti umbri che, dopo l'analisi dei decreti e i passaggi in banca, hanno capito che su questa linea molti di loro dovranno chiudere. Un danno enorme per i territori, per l'occupazione e per una regione che ambisce ancora ad essere terra di turismo. In più c'è l'aspetto del presidio sui territori: senza bar, trattorie e ristoranti molti comuni e frazioni saranno praticamente deserti e sempre di più a forte rischio spopolamento. La situazione è drammatica e lo diventa sempre di più in attesa di sapere qualcosa di concreto per la Fase 2.

“Che ne sarà dei bar e ristoranti umbri? Erano 4.729 alla fine dello scorso anno. Ma, con la riapertura del Paese - ha dichiarato il presidente di Fipe Confcommercio Umbria Romano Cardinali – gli umbri rischiano di non trovare più aperti né il bar sotto casa, né la trattoria di quartiere. Per questo il governo, e la politica tutta, compresa quella locale, ci devono aiutare, per salvare un pezzo del nostro sistema produttivo che è un settore trainante del turismo e dell’economia italiana".

La bocciatura del Decreto Cura Italia viene declinata aspetto per aspetto dalla Fipe Confcommercio dell'Umbria: la liquidità non è ancora arrivata, la garanzia al 100% dello Stato per importi massimi di 25.000 € è una cifra lontanissima dalle effettive esigenze delle imprese per far fronte agli innumerevoli costi da sostenere, la burocrazia rimane soffocante appesantendo addirittura le stesse procedure degli ammortizzatori sociali obbligando, di fatto, le imprese ad anticipare i pagamenti.

Nel mirino anche i comuni sulle tasse locali. C'è da dire che i municipi a loro volta stanno cercando di capire con Roma come muoversi e su quali fondi si potrà contare qualora dovranno rinunciare o rinviare ancora le tasse. Scrive Romano Cardinali: "Sulle tasse locali, inoltre, nonostante i tanti nostri appelli ai Comuni umbri e all’Anci, non ci sono state cancellazioni ma solo un differimento nella stragrande maggioranza dei casi, per di più con la beffa di dover rischiare di pagare l’occupazione di suolo pubblico stando forzatamente chiusi e la tassa su rifiuti virtuali, visto che di rifiuti non ne sono stati prodotti".

Sono già molti gli imprenditori in Umbria che stanno maturando l’idea di non riaprire l’attività, perché le misure di sostegno per il comparto sono ancora gravemente insufficienti e non si intravedono le condizioni di mercato per poter riaprire. L’ufficio studi di Fipe, la Federazione italiana dei pubblici esercizi aderente a Confcommercio, ha fatto un po’ di conti. Il settore dei pubblici esercizi - bar, ristoranti, pizzerie, catene di ristorazione, catering, discoteche, pasticcerie, stabilimenti balneari – con 30 miliardi di euro di perdite è in uno stato di crisi profonda, con il serio rischio di veder chiudere definitivamente in Italia 50.000 imprese e di perdere 300 mila posti di lavoro.

Cosa chiedono i commercianti umbri? Ecco le proposte di  Fipe-Confcommercio al Governo: Risorse vere a fondo perduto per le imprese, parametrate alla perdita di fatturato,  moratoria sugli affitti: serve una compensazione per il periodo di chiusura e per il periodo di ripartenza, cancellazione imposizione fiscale come Imu, Tari, affitto suolo pubblico e altre imposte fino alla fine del periodo di crisi e sospensione pagamento delle utenze, prolungamento degli ammortizzatori sociali fino alla fine della pandemia e sgravi contributivi per chi manterrà i livelli occupazionali e reintroduzione dei voucher per il pagamento del lavoro accessorio, possibilità di lavorare per asporto, come avviene in tutta Europa, concessione di spazi all'aperto più ampi nel periodo di convivenza con il virus, per favorire il
distanziamento sociale e permettere agli esercizi di lavorare, un piano di riapertura con tempi e modalità certe condiviso con gli operatori del settore, per permettere a tutte le imprese di operare in sicurezza.

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