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Tartassati in Umbria dai comuni "vampiro": paghiamo più dei veneti e lombardi

Il dato nazionale è di per sé già insostenibile, ma poi dobbiamo fare i conti con quanto ci chiedono anche i comuni. E nonostante la crisi, la disoccupazione record e i consumi zero i comuni fanno pagare i conti alle imprese e alle famiglie. Ecco tutti i dati per rendersi conto che la macchina comunale in Umbria non sta facendo quello che dice e promette

Tra Stato e Comuni dell’Umbria il contribuente è costretto a versare oltre il 50 per cento di quanto guadagna. Lo stesso vale anche per chi dà lavoro o vorrebbe darlo con delle assunzioni mirate.  Insomma 200 giorni all’anno in Umbria si “fatica” per pagare lo stato e poi per sopravvivere e pagare bollette e altre spese inevitabili per le famiglie.  Nella nostra Regione addirittura si richiedono più tasse comunali che in Lombardia e in Veneto dove vengono erogati gli stessi servizi e c'è un reddito pro-capite nettamente superiore.

IL DATO NAZIONALE - Il peso reale del fisco al 53,2% del Pil, l’aumento della pressione fiscale è stata del 5% dal 2000 al 2013, con contemporanea diminuzione del 7% della ricchezza pro capite. Sono questi i “freschi” numeri dell’Ufficio Studi Confcommercio nazionale che attribuiscono all’Italia il ben poco invidiabile  record della più alta pressione fiscale al mondo.

I COMUNI IN UMBRIA - E in questo contesto generale, quanto a pressione fiscale l’Umbria, i suoi cittadini e imprenditori, come sono messi? Tutt’altro che bene, secondo quanto emerge dallo studio “Le entrate tributarie dei Comuni italiani dal 2007 al 2012: crisi  economica, federalismo e Mezzogiorno”*, appena pubblicato sull’ultimo numero della Rivista Economica del Mezzogiorno, trimestrale della SVIMEZ. Nel 2012, infatti, a fronte di un reddito di 23.773 euro, ogni umbro ha versato in media alle casse del proprio Comune 608,2 euro annui, con una pressione fiscale (intesa come rapporto tra entrate tributarie e PIL)  pari al 2,6%.

Tanto per fare qualche paragone, i cittadini del Veneto, con oltre 29 mila euro di reddito di media, ne hanno versati 532 (pressione fiscale pari all’1,8%); quelli della Lombardia, con  33.400 euro di reddito, hanno versato 591 euro (pressione fiscale pari all’1,8%); quelli delle Marche, con un reddito medio di  25.866 euro, hanno pagato 574 euro (pressione fiscale pari al 2,2%). 

Il dato che colpisce maggiormente è tuttavia il confronto con l’anno 2007:  a fronte di un reddito di 24.976 euro, quindi più alto di ben 1.203 euro rispetto al 2012,   i cittadini umbri versavano ai Comuni mediamente 375,7 euro, con una pressione fiscale dell’1,5%. In cinque anni, dunque, il reddito medio degli umbri è diminuito del 4,8%, il rapporto tra entrate tributarie e PIL è cresciuto di un punto e le somme versate in tasse ai Comuni  sono aumentate in media del 62%.

“Stiamo sostenendo da anni che il peso della tassazione in genere e di quella locale nello specifico  – commenta Aldo Amoni, presidente Confcommercio dell’Umbria – è il vero snodo per la ripresa della nostra economia e per dare fiato a famiglie e imprese. Siamo consapevoli delle difficoltà dei Comuni a far quadrare i bilanci, ma aumentare progressivamente le tasse, come è stato fatto,  è una spirale perversa, che uccide economia e consumi. Che uccide le imprese. Ora abbiamo di fronte altre stangate con Tari e Tasi: con alcuni Comuni abbiamo avviato un proficuo confronto, che ha già portato a  impegni  concreti in termini di riduzione della aliquote per le imprese più colpite.

“Ma non basta – ha concluso  Amoni - sono soprattutto i Comuni più grandi che devono dare il buon esempio con un segnale chiaro di discontinuità rispetto a quella che sembra una escalation inarrestabile. Abbassare le tasse è possibile, e  dove diminuisce l’imposizione fiscale cresce il Pil. Per questo facciamo nostre le richieste  ribadite ieri dal presidente nazionale Confcommercio Carlo Sangalli chiedendo al Governo e alle istituzioni locali una revisione dell'attuale struttura dell'Irpef, riducendo le aliquote di imposta per imprese e lavoratori; la deducibilità totale dell'IMU sugli immobili delle imprese, come negozi e alberghi; l’esclusione degli immobili strumentali dalla Tasi; la revisione della Tari, in base al principio del "chi inquina paga"”.

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