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Economia

Finti circoli culturali, in realtà bar e ristoranti veri: evasione da 12 milioni

I furbetti creano circoli per non pagare l'Iva, imposte dirette e quelle locali e per ottenere agevolazioni anche sulla tassa dei rifiuti. In Umbria il 55 per cento dei circoli sono una bufala. Da marzo partono i controlli

E adesso il Fisco va a caccia dei finti circoli culturali no-profit che in realtà nascondono ristoranti, pizzerie, sale giochi, locali da ballo, enoteche e bar. Tutte attività profit. Circoli dove per entrare bisogna avere una tessera soci, pagarla, frequentare le attività cuore dell'associazione e aver addirittura sotto scritto il regolamento.
 
Ma in verità dietro la maschera associativa nel 55 % dei casi si nasconde una vera e propria truffa ai danni del Fisco, una concorrenza sleale verso le attività profit e persino un inganno ai clienti convinti di aver scelto un'attività che crea ricchezza per il proprio territorio.
 
L'evasione fiscale di questo settore ogni anno in Umbriadati Agenzie delle entrate – si attesta sui 12 milioni di euro. Ma il dato, proprio per via della crisi, potrebbe essere addirittura gia raddoppiato negli ultimi tempi: infatti si registra cun aumento di adesione a sigle, spesso nate negli ultimi anni, che potrebbero nascondere il dolo di chi vuole fare business sotto l'ombrello dell'impresa sociale. Gli ispettori, con il nuovo redditometro, potranno controllare da vicino gli incassi reali, i movimenti e le spese di questi circoli attraverso la mappatura dei conti correnti individuali e delle associazioni. Il tutto poi da confrontare con iscritti e modalità di gestione dell'attività.
 
Si parla – in via ufficiosa – di super controlli a queste attività a partire da marzo (per una prima tranche di 80 ispezioni) per arrivare da settembre in poi ad una mappatura quasi completa dei no-profit tramite anche controlli virtuali grazie al nuovo cervellone a disposizione della sede romana dell'Agenzie delle Entrate.
 
I punti ristoro dei circoli privati non pagano l’Iva, non pagano imposte dirette e quelle locali le pagano solo in parte. In pratica devono versare solo la tassa dei rifiuti ma in versione “ridotta” pari a un quinto di quella pagata da bar e ristoranti. E lo Stato perde introiti, secondo alcune stime, per circa un miliardo di euro l’anno. Senza contare che la disparità di trattamento fiscale e contributivo con i locali regolari comporta una distorsione del mercato. 
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