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Cronaca

"Devi imparare cosa vogliono i ragazzi", padre condannato per violenza sessuale sulla figlia

Confermata dalla Corte d'appello la sentenza nei confronti dell'uomo: "Comportamento non naturale che la figlia ha accettato per non perdere il rapporto con il genitore"

Otto anni e 10 mesi di reclusione per violenza sessuale nei confronti della figlia minorenne. È la condanna inflitta ad un padre, 50enne, che avrebbe violentato la figlia per insegnarle come avrebbe dovuto comportarsi da grande con i ragazzi.

La condanna emessa dal giudice per l’udienza preliminare di Perugia, ha trovato conferma anche in Corte d’appello, laddove i giudici hanno riconosciuto che “si configura il delitto di violenza sessuale per induzione ... e non il meno grave delitto di atti sessuali con minorenne, quando l’asserito consenso della persona offesa sia viziato non solo dalle condizioni di subalternità psicologica della vittima nei confronti dell’imputato, ma anche dall’adozione di subdole condotte induttive da lui adottate”.

A denunciare i fatti è stata la ex moglie dell’imputato, venuta a conoscenza delle violenza dalla figlia. La ragazzina aveva raccontato quanto avvenuto nel corso dei pomeriggi trascorsi con il padre. La donna aveva registrato con il cellulare le confidenza della figlia e portato tutto ai Carabinieri. Un accertamento medico aveva poi riscontrato traumi compatibili con il racconto della bambina.

Violenza che la figlia avrebbe confermato anche nel corso di un’audizione protetta con il sostituto procuratore e una psicoterapeuta infantile.

La Corte d’appello ha confermato “la qualificazione giuridica effettuata dal Tribunale in ordine alla condotta del padre che aveva indotto la figlia minorenne convivente a compiere e a subire atti sessuali - si legge nelle motivazioni - In particolare, il padre aveva convinto la figlia ad avere rapporti con il pretesto di insegnarle a baciare e a compiere atti sessuali, così da farla trovare pronta quando avrebbe dovuto farlo con altri ragazzi”.

Per i giudici di appello “l’esistenza del consenso non può essere affermata sulla base dell’asserita normalità delle condotte della vittima al di fuori del contesto familiare. Infatti, tale comportamento è stato correlato sia all’iniziale ingenuità della ragazza rispetto alla gravità delle condotte subite, sia alla sua primigenia volontà di conservare con il padre un rapporto normale”.

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