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Cronaca

Condannato per aver strangolato la madre nel sonno a Montelaguardia, Luciano Naticchi suicida a Capanne

L'uomo è stato trovato morto dal compagno di cella, inutili i soccorsi. L'allarme del Sappe, sindacato della polizia penitenziaria, sulla situazione carceraria

Luciano Naticchi, condannato a sei anni e 8 mesi di reclusione e al ricovero in una Rems a fine pena per l’omicidio della madre Ofelia Tiburi, si è tolto la vita nel carcere di Capanne questa mattina.

L’uomo era stato riconosciuto semi infermo di mente, ma in grado sostenere il processo.

Naticchi, 60enne, era accusato di omicidio volontario per aver strangolato la madre Ofelia Tiburi, di 79 anni, nel suo appartamento a Montelaguardia. La donna, rimasta da un anno vedova del marito deceduto a causa di un infarto, divideva l’appartamento con il figlio, da poco andato in pensione proprio per stare vicino alla donna.

L’uomo, difeso dall’avvocato Francesco Falcinelli, dopo il delitto aveva chiamato i carabinieri e aveva confessato il delitto senza, però, dare alcuna spiegazione del gesto.

L’uomo ha deciso di togliersi la vita impiccandosi nella Casa Circondariale Capanne di Perugia dov’era detenuto. Ricostruisce l’accaduto Fabrizio Bonino, segretario nazionale per l’Umbria del Sindacato autonomo polizia penitenziaria: “L’uomo si è suicidato in una cella del Reparto a regime aperto, impiccandosi. Aveva problemi psichiatrici. Lo ha trovato il compagno di cella rientrando nella stanza dopo un colloquio. Lo stesso è stato prontamente soccorso dal personale di polizia penitenziaria e tempestivamente sono intervenuti il medico che hanno provato più volte a rianimarlo ma non c'era più nulla da fare”.

Donato Capece, segretario generale del Sappe, commenta: Questo nuovo drammatico suicidio di un detenuto evidenzia come i problemi sociali e umani permangono nei penitenziari, lasciando isolato il personale di Polizia penitenziaria (che purtroppo non ha potuto impedire il grave evento) a gestire queste situazioni di emergenza. Il suicidio è spesso la causa più comune di morte nelle carceri. Negli ultimi 5 anni, dal 2014 al 31 dicembre 2018, i detenuti suicidi in carcere sono stati 230. Il suicidio di un detenuto rappresenta un forte agente stressogeno per il personale di polizia e per gli altri detenuti. Per queste ragioni, un programma di prevenzione del suicidio e l’organizzazione di un servizio d’intervento efficace sono misure utili non solo per i detenuti ma anche per l’intero istituto dove questi vengono implementati. E’ proprio in questo contesto che viene affrontato il problema della prevenzione del suicidio nel nostro Paese. Ma ciò non impedisce, purtroppo, che vi siano ristretti che scelgano liberamente di togliersi la vita durante la detenzione”.

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