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Cronaca

Non è un paese per mamme: “Vi racconto il mio calvario: trasferimenti, ricorsi, e poi il licenziamento”

E' mamma di un bimbo di due anni. "Due richieste di trasferimento. Due provvedimenti giudiziari a mio favore. Due trasferimenti dichiarati dal giudice illegittimi e discriminatori. E oggi mi è arrivata la lettera di licenziamento"

“Non è un paese per mamme”. Lo ripete spesso anche nei suoi post la protagonista – suo malgrado – di una storia che ha tutta l’ombra del mobbing e della discriminazione. Eh sì perché questa mamma lavoratrice di 36 anni, Sara G., impiegata in una azienda nata a Perugia (dove ha la sede amministrativa) e che si occupa della cura dei capelli con sedi praticamente sparse in tutta Italia, da oggi è stata licenziata. Colpa della crisi? Solo sulla carta. Perché di fatto lei, da sei anni segretaria nella sede locale di Cosenza, da quando è diventata madre ha iniziato a vivere un vero e proprio calvario.

Dopo il periodo di maternità la donna torna al lavoro, ma  appena trascorsi 12 mesi dalla nascita del suo primogenito arriva la lettera di trasferimento “per motivi economici” dell’azienda. Dove? A 250 chilometri di distanza. “Un trasferimento travestito da licenziamento. Con un figlio piccolissimo, un marito che lavora qui e un posto part time da 800 euro al mese, vivere e pagare l’affitto fuori dalla propria città significa praticamente indurre il dipendente a presentare le dimissioni. Ma io non mi sono arresa e tramite i miei legali, gli avvocati Giuseppe Lepera e Elena Montesano è stato presentato ricorso dinanzi al giudice, il quale mi ha dato ragione”.

Il giudice ha infatti accolto il ricorso dichiarando il trasferimento illegittimo e discriminatorio. “Ma l’azienda ci riprova e pochissimo tempo dopo mi arriva ancora la lettera di trasferimento. Ribadendone in sostanza i motivi. Ancora una volta faccio ricorso e il giudice del lavoro lo accoglie nuovamente in quanto, dai redditi dell’azienda, non c'era un calo di reddito tale da motivare un mio trasfermento. Tutto il contrario! Tanto che oggi, dopo avermi licenziato, ho saputo che stanno cercando nuovo personale”. E’ inoltre inammissibile che non venga rispettata da un’azienda neanche la sentenza di un giudice”.

“Fortunatamente – conclude - ho un marito che lavora, altrimenti sarebbe stata una catastrofe. All’età mia il reinserimento nel mondo lavorativo non è semplice. La mia è una lotta per tutte quelle mamme il cui figlio rappresenta per l’azienda un ostacolo in termini di tempo, permessi, energie. Questo paese dovrebbe garantire più tutele a chi decide di crescere un figlio e al contempo contribuire all’economia della famiglia in cui spesso, un solo stipendio, non basta per la sopravvivenza. Una donna che ha dei figli deve avere il diritto di lavorare. Di essere autonoma e non vedersi sgretolare questo diritto davanti alla faccia". La sua battaglia , intanto, andrà avanti. "Due trasferimenti da Cosenza a Salerno. Due provvedimenti giudiziari a mio favore. Due trasferimenti dichiarati dal giudice illegittimi e discriminatori. Oggi mi è arrivata la lettera di licenziamento. No. Questo non è un paese per mamme”. 

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