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Cronaca

Omicidio via Oberdan, spintonata giù per le scale e uccisa. Fissata la data d'Appello per l'assassina

Si torna in aula per il secondo grado di giudizio di Renate Kette che il 27 maggio del 2016 uccise in via Oberdan la 73enne Danielle Claudine Chatelain, madre della sua ex compagna

Si torna in aula per il secondo grado di giudizio di Renate Kette che il 27 maggio del 2016 uccise in via Oberdan la 73enne Danielle Claudine Chatelain, madre della sua ex compagna.  Si torna in aula perché la difesa dell'imputata - già condannata in primo grado a trent'anni di reclusione con rito abbreviato - è ricorsa in Appello avverso alla condanna inflitta dal gup nel luglio del 2017. La data è stata fissata al 28 novembre; i difensori  Donatella Panzarola e Cristian Giorni chiedono ai giudici della Corte 'Assise d'Appello di concedere all'imputata le attenuanti generiche, di non ritenere sussistente l'aggravante dei futili motivi e riconoscere la sussistenza dell'attenuante della cosidetta provocazione, mentre il giudice in primo grado riconobbe per la Kette l'aggravante dei futili motivi e della minorata difesa della vittima. 

Quello della povera Danielle è stato un delitto che ha scosso non solo il quartiere, ma l’intera città. Un dramma nel dramma perché Danielle Caludine Chatelain, dopo aver perso il marito e poi l’unica figlia per una malattia devastante, fu uccisa da Renate Kette perché - secondo la procura - non voleva “essere cacciata da casa”. 

La convivenza tra Kette e la vittima Danielle si sarebbe incrinata dopo la morte della figlia tanto che, poco prima del trasferimento in un'altra casa, la vittima le avrebbe comunicato di non voler proseguire la sua convivenza con lei, nonostante l'imputata le avesse chiesto di poter dormire almeno nel garage. "Kette - scrive la difesa - non ha chiesto e non ha imposto alla Chatelain di rimanere in quella casa. Le aveva chiesto solo di poter rimanere cinque giorni per trovare poi altra sistemazione. Danielle le aveva risposto fermamente di no apostrofandola con disprezzo con la parola “delinquente”, per poi girarle le spalle per uscire dall’abitazione". A questo punto sarebbe scattato il “raptus” come lo definisce la stessa imputata: la spinta sulle scale e il fatto di aver sbattuto la testa della vittima sui gradini delle scale.

Diversa è la posizione del giudice che l’ha condannata a trent’anni di carcere. Il giudice Avenoso, nelle motivazioni della sentenza, aveva spiegato come non si possano concedersi le attenuanti generiche tenuto conto (tra l’altro) “della violenza ed estrema gravità della condotta omicidiaria. La Kette ha avuto tutto il tempo per recedere dall’azione, in quanto è emerso che la Chatelain rotolava giù dalle scale (tra l’altro fratturandosi le costole). La Kette la seguiva e nonostante le implorazioni di pietà della vittima le afferrava la testa per i capelli e gliela spaccava sul gradino, sbattendola reiteratamente con grande forza”.

Il gup aveva ritenuto di non concedere le attuanti generiche anche in base alla condotta dopo il gesto omicidiario, che sarebbe stata improntata a fatalismo e rassegnazione: in particolare, prima di chiamare la Polizia avrebbe acquistato una birra per sorseggiarla nell’attesa.  Ora si va verso il secondo grado di giudizio.

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