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Domenica, 28 Aprile 2024
Cronaca

Perugia, microspie nascoste nelle prese elettriche per controllare la ex: condannato

Confermata in Corte d'appello la sentenza di condanna, dimezzata la somma del risarcimento

Confermata la condanna a 1 anno e 4 mesi per interferenze illecite nella vita privata della ex, con pena sospesa, e riforma della sentenza con riduzione a 5mila euro l’ammontare della provvisionale, con riconsegna del cellulare e della sim utilizzati per spiare la ex compagna.

L’imputato, difeso dall’avvocato Saschia Soli, era accusato di avere monitorato la ex mediante delle microspie nascoste nelle prese elettriche.

Per la Procura perugina l’uomo “manifestando una gelosia ossessiva e possessiva, pretendeva di controllare continuamente il telefono e il pc e i movimenti sia sul luogo di lavoro, sia in ambito extralavorativo, in modo talmente opprimente da indurla a limitare le sue relazioni sociali e a lasciare il lavoro”.

Per controllare la vita della donna, dopo la fine della relazione, l’uomo si sarebbe introdotto nell’abitazione della ex per collocarvi “cinque apparecchi ricetrasmittenti idonei alla registrazione audio, dotati di batteria e sim” risultate intestate all’imputato “occultati all’interno di prese elettriche in diversi ambienti della casa, fra cui soggiorno, bagno e camere da letto”. Gli apparecchi trasmettevano tutte le informazioni sulla vita privata delle donna al cellulare dell’ex.

Per la Corte d’appello “la prova della consumazione del delitto di interferenze illecite nella vita privata può essere desunta anche presuntivamente dalla frequenza e dalla lunghezza dei contatti avviati dall’apparecchio ricettivo in dotazione all’imputato”.

L’illecita registrazione audio effettuata dall’imputato nell’abitazione della sua ex convivente tramite l’installazione di apparecchi ricetrasmittenti occultati all’interno delle prese elettriche “postula l’effettiva acquisizione abusiva di notizie o immagini che si svolgono nel domicilio della persona offesa, veniva ritenuta provata anche in assenza dell’accertamento sul telefono cellulare dell’imputato, che non era stato possibile esaminare perché criptato e, dunque, non accessibile senza che l’imputato fornisse le password per accedervi”.

Per i giudici di appello “la prova del delitto veniva desunta dall’accertamento che i contatti effettuati dal telefono all’apparecchio ricettivo erano stati frequenti e che erano durati anche più di 30 minuti. Da tale circostanza si deduceva come altamente probabile che l’imputato avesse effettivamente registrato abusivamente le conservazioni e le attività svolte dalla sua ex convivente all’interno del domicilio”.

La donna si era costituita parte civile tramite l’avvocato Maurita Lombardi.

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