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Cronaca

Il dolore di una mamma che ha perso il figlio di 22 anni: "Fermiamo la droga a Perugia "

La voce di mamma che rimarca – a circa 9 anni da un evento luttuoso per overdose– che nel capoluogo umbro nulla è cambiato. "Care mamme facciamo rete per salvare i nostri figli: dobbiamo stare unite"

Era il 20 agosto 2005 quando Pierluigi venne ritrovato dalla sua mamma in un monolocale di Pretola. Morto, accanto ad un 50enne, assuntore abituale di stupefacenti. La sera precedente, con la famiglia, aveva festeggiato in pizzeria il compleanno del fratello e promesso, allontanandosi, di rientrare presto. Pierluigi di anni ne aveva 22 ed era stato fagocitato nell’universo droga per amore. Era buono Pierluigi, era generoso, e pensava che l’espressione ‘io ti salverò’ ripetuta alla fidanzatina di allora sarebbe stata la spada con cui difendersi. 

Giovane e testarda lei; altrettanto giovane, ma forse meno testardo, lui. A rimetterci fu lui. Speedball sentenziò l’autopsia. Eroina e Cocaina, mix da assumere per via endovena, deflagrante nel cervello. Per Pierluigi questa esplosione tra organismo e ragione significò l’aumento dell’adrenalina, l’accelerazione del battito cardiaco e l’accartocciarsi dei pensieri. Uno su tutti: l’ingresso in comunità terapeutica. Sarebbe dovuto entrare il giorno dopo, il 21 agosto 2005. Lo aveva maturato grazie alla vicinanza assidua della madre – dalla cerchia di amici giudicata addirittura coercitiva - perché, benché un padre formalmente ci fosse (la coppia già separata, oggi è divorziata), i figli li aveva sempre seguiti lei. La valigia è ancora pronta e, dopo circa 9 anni, è appena alle battute iniziali il processo che vede alla sbarra tre imputati, un italiano, un tunisino e la sua convivente italiana, tutti accusati di detenzione e spaccio di droga e di avere provocato, a causa di questo, la morte (a fine marzo avanti al Tribunale di Perugia si è svolta la prima udienza istruttoria con rinvio al 17 luglio pv – ndr). 

Mamma Gabriela ripercorre il tempo. E’ una disperata dignità a darle l’energia per far uscire dall’anonimato una storia uguale a tante, riflessa in specchi nei quali altre mamme continuando a guardarsi, cercando invano, nei propri, gli occhi dei figli. A sostenere Gabriela una convinzione incrollabile “i figli sono delle madri, anche se vicino hanno padri eccezionali. E’ un dato di fatto, il figlio è della madre, perché se lo è portato in pancia, lo ha partorito e lo porta con sé. Pierluigi non c’è più ed io sto qui, ma una parte di me è con lui”.

Altrettanto granitica una consapevolezza “dal 2005 a Perugia nulla è cambiato. Ascoltando raccontare in udienza dagli amici di mio figlio, ragazzi con meno di 40 anni, che non avevano un pusher di riferimento ma andavano in Piazza Italia e Corso Vannucci per trovare ‘la roba’, fa capire che le cronache hanno ragione. Non è vero che Perugia non è la capitale della droga, diventerà forse capitale della cultura, ma il problema droga c’è e non si risolve aumentando carabinieri e poliziotti, ma con un’opera di prevenzione e controllando chi gestisce i locali, sebbene all’interno di essi siano presenti le forze dell’ordine. Questa città non era tranquilla e non è tranquilla, le modalità sono le stesse, ne parlano i giornali e ne parla un lavoro come il mio, al Pronto Soccorso dell’Ospedale. I ragazzi – aggiunge, con voce dolce e sommessa ma ferma - non devono essere lasciati soli. Ogni volta che in reparto ne arriva qualcuno, alle 3,00 del mattino, in loro rivedo Pierluigi e la sua ragazza, lei è viva, è cresciuta (non vive più in Umbria – ndr) ma non le ho mai dato alcuna colpa, vedevo in lei una vittima, bella e perduta, comunque, mi ha voluto bene”. 

Gabriela non accusa, non punta il dito; riscontra e ricorda, e dallo studio dell’avvocato Massimiliano Sirchi, il legale che l’ha seguita in un percorso doloroso quanto accidentato, lancia una sollecitazione ed un invito “aiutiamoci tra noi mamme. La maggior parte oggi è sola, ma l’unione fa la forza, non abbassiamo la testa quando ci si incontra; tante volte incontro madri che hanno perso i figli, provo ad andare da loro, ma non sono sempre bene accetta, non lo so per quale motivo, io non ho mai pianto, a parte poche volte, ma ho sempre lottato”. Su queste parole arriva la delucidazione professionale di Sirchi “la signora ed il fratello di Pierluigi, sono costituiti parte civile. 

L’iniziativa non ha in alcun modo una finalità risarcitoria pecuniaria, vista la condizione in cui si trovano gli imputati, i quali, finché non si arriverà a sentenza, restano garantiti dal nostro ordinamento, ma ha una valenza morale e di monito per chi si trova in questa situazione. La costituzione è un risarcimento alla memoria di Pierluigi; certo, ha sbagliato, non è bene drogarsi e per chi percorre quella strada le conseguenze sono nefaste”. “In questa storia non ci sono consigli da dare – riprende Gabriela – occorre continuare a darle voce, affinché chi muore di droga non venga dimenticato. Pierluigi era buono, i ragazzi non devono essere meno buoni, ma restare se stessi anche se si innamorano, forti, attaccati alla propria personalità ed alla famiglia, la sola che ti può aiutare”. 

La dimensione familiare torna spesso in questo racconto, già sentito eppure così unico, e la mamma, dicendosi disposta a ‘metterci la faccia’ anche in TV, conferma la sua ricetta “le famiglie insieme potrebbero far scudo. La colpa è  nostra, la paura ci blocca e per proteggere i figli stiamo zitti. Io sono una, ma il problema non è solo mio, c’è una ricaduta sociale”. E la ricaduta sociale di Gabriela è l’altro figlio, colui che le dà la forza di guardare avanti, sebbene abbia vissuto e viva la storia di Pierluigi in modo devastante. Il fratello maggiore, infatti, da figura di riferimento data l’assenza del padre, è spesso percepito, oggi, come il responsabile delle sue difficoltà a trovare un lavoro. Ed il senso d’impotenza della donna aumenta. 

“Mi devo fidare di lui, perché la vita è questa – dice - però se ad una certa ora non lo vedo tornare scatta subito la telefonata, oltre che la preoccupazione”. Ad arginarla non bastano le dimostrazioni di affetto “gli amici veri di Pierluigi oggi sono cambiati – riconosce – tutt’ora seguono ed inseguono il fratello. Lui – afferma – è un ragazzo che quando vede gli spacciatori chiama la polizia, ma vive con il terrore di non essere ascoltato e difeso. Soprattutto – conclude – ha bisogno, come altri giovani, di lavorare, vedendo premiato il merito e non le raccomandazioni, di recuperare fiducia nel mondo, di assecondare le sue attitudini, è musicista e compositore, senza sentirsi rifiutato. Fino allo scorso anno ha cercato aiuto nella terapia, ora vuole avere il coraggio di provare a farcela da solo. Io, comunque, continuerò ad esserci; non posso fare altro”.

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