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Cronaca Umbertide

Tenuta Caicocci, assolti dopo 7 anni dall'accusa di invasione di terreni

Tre persone sotto processo perché trovate intente a riparare la rete di un pollaio

Condannati in primo grado per invasione di terreni pubblici, assolti in appello dal reato “per assenza di prova del dolo specifico”, cioè non è chiaro se la condotta fosse “finalizzata al profitto o al ripristino di un bene pubblico per evitarne la privatizzazione”.

La vicenda del comitato “Caicocci Terra Sociale” si trascina da anni e il 27 gennaio del 2020, il Tribunale monocratico di Perugia aveva condannato tre persone alla pena di 600 euro di multa per invasioni di terreni ed edifici e deturpamento di cose altrui, in concorso, in quanto “arbitrariamente, invadevano, al fine di occuparlo, un casolare (con annessa azienda agricola) di proprietà della regione (tenuta regionale “Caicocci”, sita nel Comune di Umbertide)”.

Il Tribunale “ricostruiva i fatti” in base alle “deposizioni testimoniali dei carabinieri intervenuti a seguito di segnalazione da parte di un soggetto (pure assunto come testimone) incaricato dalla Regione di verificare lo stato dell'immobile”. I tre imputati erano “stati trovati mentre ripristinavano un recinto per i polli, nell’atto di montarne la rete metallica”.

I tre facevano parte del “comitato appositamente costituitosi sul territorio per contestare la prospettata privatizzazione del bene di proprietà regionale, che viceversa si sosteneva dover essere ripristinato e recuperato all'uso della collettività” si legge nelle note di uno dei difensori, l’avvocato Francesco Di Pietro.

Gli imputati, naturalmente, facevano appello, sostenendo che “il Comitato Caicocci Terra Sociale fin dal settembre 2013 aveva intrapreso varie iniziative tese a rimediare allo stato di abbandono del complesso immobiliare Caicocci e a contrastare l’ipotesi di una sua privatizzazione, sostanziandosi pure in attività di ‘custodia sociale’ del bene mediante opere di sistemazione e di organizzazione di eventi anche al suo interno”. La sistemazione del recinto dei polli il 18 marzo del 2014, quindi, non era l’atto di occupazione dei terreni, ma un’attività collegata a quelle di recupero della proprietà. Il reato di invasione di terreni, sarebbe penalmente rilevante solo al momento iniziale e non in seguito.

Non vi era prova, inoltre, “che essi avessero partecipato ad altre attività o che avessero dimorato nel complesso immobiliare”.

Altro motivo di appello era costituito dal fatto che i carabinieri non avevano chiesto i documenti ai tre e quindi non era certa l’identificazione e “in ogni caso essi non erano successivamente più stati trovati all’interno del bene immobiliare e la loro condotta era niente più di un atto dimostrativo di protesta contro l’incuria in cui la tenuta era stata lasciata, e quale atto di semplice occupazione, non già di invasione, priva peraltro del fine di lucro e di concreta offensività delle facoltà del titolare del bene”.

La Corte d’appello di Perugia, con sentenza n. 981/21, depositata il 6 dicembre 2021, ha ritenuto che “il reato di invasione di terreni demaniali ha natura permanente … atteso che l’offesa al patrimonio demaniale perdura sino a che continua l’invasione arbitraria del terreno al fine di occuparlo o di trarne profitto”.

Quanto alla mancata identificazione, secondo la Corte “questa deve ritenersi certa sulla base della testimonianza resa dal comandante della Stazione dei Carabinieri”.

In riferimento ai lavori di riparazione del pollaio “è da escludere che la semplice opera di ripristino di un pollaio, dunque già preesistente, possa integrare un episodio di invasione di beni immobili altrui, con specifico riferimento al fine precipuo che gli imputati si prefiggevano – si legge nella sentenza - Si intende dire che non è chiaro se essi si proponessero di occupare poi stabilmente parte della tenuta (magari del solo pollaio ripristinato), di trarne un qualche conseguente profitto, e non invece di contribuire semplicemente al ripristino/riordino del bene, nella sua consistenza, per favorire poi scelte da parte dell’ente regionale diverse dalla sua prospettata vendita e/o privatizzazione”.

Non essendoci la prova del dolo specifico, gli imputati sono stati assolti in quanto il fatto non costituisce reato.

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