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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca

Intervista a Maria Carla Spadoni, l'autrice del libro “Perugia romana”: "La civitas perusina fino alla prima età imperiale"

“Sono reatina, ma ormai mi sento perugina”. Parola di Maria Carla Spadoni, autrice di “Perugia romana”, (volume 34 delle Appendici al Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l’Umbria). Un lavoro che arricchisce lo stato dell’arte della conoscenza storica della città, specialmente in epoca romana. Il volume – di cui abbiamo fatto cenno in Perugia Today – fa il punto sul rapporto tra epigrafi e situazione politico sociale. L’accreditamento è di mano del professor MarioTorelli: garanzia di qualità. Chiediamo all’autrice: Alla luce delle sue ricerche storiche ed epigrafiche, si può parlare di Perugia “depredata”?

“Il mercato antiquario ha assorbito molti reperti archeologici perugini e continua a farlo ancora oggi: il coperchio di un’urna, da me studiato e fotografato, è comparso nel catalogo della casa d’aste Pandolfini a Firenze”. Esistono numeri in proposito? “A fronte di 11 urne cinerarie, rinvenute nel corso dell’ottocento (e pubblicate nel “Corpus Inscriptionum Latinarum”) ben 58 sono irreperibili. E meno male che Giancarlo Conestabile fece eseguire i calchi di iscrizioni etrusche e latine, circa 400. Molti andarono dispersi, ma parecchi si salvarono, perché murati nel corridoio di Palazzo Murena, oggi sede dell’Università”.

Quale il ruolo di Augusto nella “Vetusta”? “Concesse alla città il titolo di ‘Augusta’ e lo fece scrivere sull’Arco Etrusco, sulla Porta Marzia e sulla Porta della Mandorla. Da quel momento gli abitanti di Perugia si chiamarono ‘Agustani Perusini’, che è un riconoscimento forte”. Tra i rifondatori della “Perusia restituta”, oltre ad Augusto c’è qualcun altro? “Sì: Tiberio. Non molti sanno che Tiberio si trovava a Perugia, con il padre Tiberio Claudio Nerone, e andò in esilio con lui che non si era arreso ad Ottaviano. E che ebbe molta attenzione per la città d’Euliste”.

Quali i reperti epigrafici più interessanti? “Sono tanti, ma citerò l’ara votiva (ora irreperibile) rinvenuta nei pressi dell’attuale piazza
Matteotti, una lastra di rivestimento scoperta a San Manno (Ferro di Cavallo), l’architrave a sinistra dell’imbocco principale di via Alessi, già via dei Calderari”.

È vero che a Perugia ci fu il culto di Augusto, malgrado la distruzione del Bellum perusinum e la strage – si dice – di 300 optimates?
“Senza ombra di dubbio: quel culto fu assecondato dalla nuova classe dirigente e dalla vecchia, rimasta a lui fedele”. E i perugini interagirono con Roma?
“Certamente. Per esempio, si ha notizia di una malattia contagiosa, imputata a un ‘untore’ perugino e si ha traccia di una perugina residente a Roma”.
Che ci dice della fase di romanizzazione dei nomi? “Con la lex Iulia s’impose l’uso dei “tria nomina” e ciò comportò la trasformazione di nomi etruschi in latini: ne sono esempio Velimna che diventa Volumnius, Cai Cutu che si trasforma in Cutius, Petruni in Petronius. Questo perché vennero coloni romani, ma ci fu anche una robusta osmosi culturale”.
Si perse così identità? “No, perché l’orgoglio dell’élite culturale etrusca indusse a rivendicare la propria identità facendo
realizzare, nell’epigrafe funeraria, iscrizioni bilingui”.

Insomma: questo libro fa luce su tanti aspetti della civitas perusina fino alla prima età imperiale. È stato scritto da Carla Spadoni che dice di sé: “Nata a Rieti, venuta a studiare alla Facoltà di lettere di Perugia, ormai vivo stabilmente in questa città dal 1973. Mi auguro che, con la pubblicazione di questo volume, i Perugini da oggi mi considerino una loro concittadina”.

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