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Cronaca

L'INTERVENTO "Io non eugubina vi racconto perchè un 15 maggio senza Ceri... è un dramma per tutti"

La corsa dei Ceri è fatica, è impegno, è dolore fisico. Ma è felicità elevata all’ennesima potenza. È tutti i padri e i figli di quella terra. È insieme tradizione e passione. Amicizia, amore, fede

Oggi è un giorno tristissimo per Gubbio, per l'Umbria e per l'Italia. Oggi doveva esserci la Festa, quella millenaria, quella dei Ceri, simbolo della nostra regione ma conosciuta in tutto il mondo. Il Covid ha fatto rimandare anche questo appuntamento. Simona Vitali, ex assessore e ora impegnata in un importante staff legato alla Presidenza del Consiglio di Marco Squarta, ha voluto raccontare da non eugubina le mille emozioni dei Ceri a tutti i nostri lettori. Chi porta il Cero le conosce bene e vive per quelle emozioni. Ma questo intervento da chi non è della città di Sant'Ubaldo, a nostro giudizio, rappresenta bene il tributo degli umbri alla festa e al suo popolo. Buona Lettura.

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di Simona Vitali

simona-2Il 15 maggio di ogni anno, ormai da secoli, a Gubbio accade qualcosa di epico. Il 15 maggio a Gubbio è festa nazionale. Anzi no. Molto di più, poiché per nessuna ricorrenza di Stato la gente si riversa nelle strade come dopo l’annuncio della fine di una guerra. Chi non ha mai partecipato alla corsa dei Ceri può trovare esagerato il mio racconto. Un’iperbole, seppur azzeccata. Ma tale. E invece no. Nessuna iperbole. È epico quel che accade, sono epiche le figure che compongono il quadro. Epici i riti, che si ripetono eccitati, mai stanchi, mai domi.

Tutto è scandito da sacralità cristallizzata in ogni volto, anche quello forestiero, che accidentalmente incontra la meraviglia quando immaginava di trovare soltanto la bellezza. Io non conosco perfettamente ogni simbolo. Non ho ancora capito bene gli orari, non ricordo i nomi delle vie, stento a distinguere i ruoli. Mi perdo nella gioia e mi basta. Non ci si abitua al 15 maggio, e non ci si stanca, se non fisicamente. Ma è uno stremo che rincorre l’anno successivo, come una droga della quale non puoi fare a meno.

Cristian “prende” il cero. All’altezza della seconda “capeluccia”. La muta è quella del leggendario “nonno Pino”, che ho il rammarico di non aver conosciuto, ma i racconti di mia suocera mi fanno percepire di meno l’assenza. Prendere il cero è un privilegio, una fortuna sconsiderata, un onore ripagato da ancestrale e perpetua lealtà al Santo, in questo caso Ubaldo, come mio nonno. Vedi a volte i giri che fa la vita!

Io attendo ogni anno, cascasse il mondo, il passaggio del cero che grava imponente sulle spalle dei ceraioli. Cristian aspetta la barella per mettersi sotto, ed io posso fotografarlo. Ma devo essere solerte e attenta. La corsa non aspetta.

C’ero anche l’anno in cui aspettavamo Nausicaa, sotto al diluvio, di corsa su per il monte, a perdifiato, con il ventre gonfio che seguiva il ritmo dei miei passi svelti. Perché il Monte Ingino si “ascende” a piedi. A qualunque costo, senza condizioni.

La corsa dei Ceri è fatica, è impegno, è dolore fisico. Ma è felicità elevata all’ennesima potenza. È tutti i padri e i figli di quella terra. È insieme tradizione e passione. Amicizia, amore, fede.

L’alzata in Piazza Grande è patrimonio immateriale non dell’umanità, che manco se la merita, ma della trascendenza. Il silenzio ossequioso e pieno che precede il lancio delle brocche, è semplicemente inumano, ultraterreno. E il fragore che accoglie i Ceri in piedi, assume tratti altrettanto sovrannaturali. Niente è banale il 15 maggio a Gubbio.

Il pranzo a casa della zia Paola è un rito che si ripete e regala ogni volta la stessa beatitudine. Quel senso di famiglia e sentimento che travalica ogni distanza, che azzera l’età e mette indietro le lancette dell’orologio all’anno precedente, tutte le volte. Come se niente fosse destinato a mutare, come se ogni assenza non fosse tale.

Oggi è il 15 maggio più triste della storia. Riesco a percepire il dolore inimmaginabile di tutti gli eugubini e di tutti coloro che con gli eugubini hanno a che fare. Solo chi sa, può capire. Gli altri no. Finché non vedi brillare le stoffe leggere dei mantelli dei Santi Ubaldo, Giorgio e Antonio, non puoi dirti davvero completo. E la lacerante tragedia di un anno senza Ceri che si inchinano, non potrai mai conoscerla.

Se non hai mai seguito il suono del trombettiere a cavallo, e non hai saltato con tutte le tue forze per scoprire il legno dietro a centinaia di teste che saltano altrettanto, e non hai guardato al cielo per salutare chi non c’è più, non potrai mai raccontare quel che accade il 15 maggio di ogni anno a Gubbio.

Oggi è dolore e incredulità. Ma torneremo a ballare e a cantare. La banda di Gualdo, e con essa tutte le altre, sfilerà ancora portando gioia e amicizia, ed io sarò ancora lì. A piangere di felicità, per una radice che si è insinuata forte nel mio cuore, e non mi abbandona. Saranno le radici di questa Italia scossa e abbattuta le ancore che ci consentiranno di non affogare.

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