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Lunedì, 29 Aprile 2024
Cronaca

Non hanno diffamato il dottor Franco Trinca dopo il decesso: archiviate le accuse a Gasparri, Senaldi, Lucarelli e altri giornalisti

La decisione del giudice per le indagini preliminari del Tribunale penale di Perugia

Il giudice per le indagini preliminari Natalia Giubilei ha disposto l’archiviazione nei confronti Maurizio Gasparri (difeso dagli avvocati Pietro Laffranco e Matteo Silvestri), Pietro Senaldi, Giuseppe Brindisi, Corrado Formigli, Selvaggia Lucarelli e Gabriele Madala, dalle accuse di diffamazione avanzate dai familiari di Franco Trinca, assistiti dall’avvocato Efisio Burreddu, il medico perugino contrario ai vaccini Covid e che proponeva una cura alternativa. Il medico era deceduto a Città di Castello il 2 febbraio del 2022 a seguito delle complicazioni dovute al Coronavirus.

I familiari del medico avevano proposto querela “accusando di diffamazione conduttori ed ospiti di trasmissioni televisive che si erano occupate della notizia della morte del padre” laddove “asseriva come vi fossero stati numerosi affermazioni e commenti lesivi della onorabilità e della memoria del padre, tacciato, in sostanza, di essere contrario ai vaccini e di aver propugnato delle cure alternative, asserendo come un'adeguata alimentazione e complessi vitaminici potessero aiutare il sistema immunitario a difendersi dal virus”.

Sostenendo che in ospedale il dottore Trinca “si sarebbe rifiutato di farsi intubare e curare con la medicina tradizionale, continuando a volersi curare con le vitamine, secondo il figlio i giornalisti e i vari ospiti avrebbero fatto passare il padre come un venditore di fumo, che, di fatto, era rimasto vittima delle proprie convinzioni e che si sarebbe procurato una falsa esenzione dal vaccino, denigrandolo come medico e come persona”.

Il pubblico ministero Giuseppe Petrazzini aveva chiesto l'archiviazione osservando come gli interventi dei querelati “seguivano servizi in cui il dottor Trinca esprimeva le proprie posizioni, anche con toni accesi e che pertanto quelli usati dai giornalisti ed ospiti delle trasmissioni erano analoghi, dovendo contrastare tali posizioni, al fine di evitare proselitismo e rifiuti al vaccino” scrive il gip nel dispositivo di archiviazione, ricordando che “in tema di diffamazione la Corte di Cassazione affermi che la sussistenza dell'esimente del diritto di critica presuppone, per sua stessa natura, la manifestazione di espressioni oggettivamente offensive della reputazione altrui, la cui offensività possa, tuttavia, trovare giustificazione nella sussistenza del diritto di critica, a condizione che l'offesa non si traduca in una gratuita ed immotivata aggressione alla sfera personale del soggetto passivo ma sia contenuta (requisito della continenza) nell'ambito della tematica attinente al fatto dal quale la critica ha tratto spunto”.

Le difese degli indagati hanno depositato estratti della pagina Facebook del dottor Trinca, “in cui si stigmatizzava l'uso dei vaccini, indicando la campagna vaccinale quale ‘vaccinazismo’, invitando la popolazione alla ‘mobilitazione permanente’ contro la vaccinazione, e nelle quali si dava atto come lo stesso dottor Trinca avesse depositato alcuni esposti in Procura per ‘strage di stato’, ed altri articoli di analogo tenore”.

Secondo il gip Giubilei dopo la morte del dottore, “stigmatizzata con critiche, anche aspre, ma fatte contro le idee” di Trinca, “in un momento in cui era necessario continuare a mantenere alta l'attenzione sulla pandemia e spingere la popolazione a vaccinarsi; si deve anzi dare atto come allo stesso dottor Trinca sia stata riconosciuta una estrema coerenza, fino alla fine”.

In conclusione il gip Giubilei, condividendo le osservazioni del pubblico ministero “in punto di rispetto del diritto di critica, poiché l'intento non era quello di screditare la persona, ma di sostenere le campagne vaccinali e l'operato delle istituzioni, contrapponendo alle posizioni forti e decise del dottor Trinca, prese di posizioni altrettanto forti e decise che, sebbene siano state esposte in maniera sferzante, non si ritiene possano ascriversi a mere offese gratuite, fini a sé stesse” ha ritenuto “che gli elementi in atti” non “possano comportare una ragionevole previsione di condanna a carico degli indagati, poiché non è dimostrabile l'intento calunnioso o diffamatorio” e ha disposto l’archivizione.

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