Inquinamento, controlli Forestale su autolavaggi e lavanderie industriali
Dal mese di maggio il Corpo Forestale dello Stato ha eseguito dei controlli sulle acque di scarico delle lavanderie industriali e dei lavaggi di auto e camion
Dal mese di maggio i Comandi Stazione del Corpo Forestale dello Stato hanno effettuato su tutto il territorio regionale dei controlli che hanno riguardato impianti di lavaggio auto e camion e lavanderie industriali.
Attività economiche che hanno un forte impatto ambientale in quanto originano nel corso del processo produttivo notevoli quantitativi di acque di scarico, dette anche acque reflue industriali, che se contaminate da sostanze o materiali pericolosi possono determinare danni significativi all’ambiente ed alla salute umana.
In provincia di Perugia sono state controllate complessivamente dal Corpo forestale dello Stato ben 113 (142 in tutta la regione) aziende, soprattutto nel comprensorio eugubino-gualdese, insieme a Città di Castello, Marsciano, nel folignate e nello spoletino. A seguito delle verifiche sono state elevate complessivamente 24 comunicazioni di notizie di reato con deferimento all’Autorità Giudiziaria dei titolari delle aziende per scarico senza la prescritta autorizzazione di acque reflue industriali contenenti sostanze pericolose su pubblica fognatura o su corpo idrico superficiale.
Tra le irregolarità di tipo amministrativo più frequentemente riscontrate e sanzionate il mancato rispetto delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione allo scarico, omessa realizzazione delle analisi, omessa o incompleta tenuta dei registri di carico e scarico.
Di queste aziende, sei sono nel perugino, due a Norcia, due a Nocera. In dieci casi si è proceduto al sequestro penale delle condotta di scarico dei reflui. In particolare a Spoleto, il locale Comando Stazione Forestale ha provveduto ad inizio del mese di luglio a deferire all’A.G. i titolari di quattro lavanderie ed al sequestro degli scarichi relativi in pubblica fognatura.
Inoltre in diverse zone di Spoleto, in precedenza era stato accertato dall’ARPA un fenomeno di inquinamento di acque sotterranee per contaminazione da solventi clorulati ( PCE e TCE ) che aveva portato all’emissione di ordinanze sindacali di chiusura di pozzi e divieto di uso dell’acqua per uso umano ed irriguo. In tutto 32 sanzioni amministrative erogate per un importo di oltre 10.000,00 euro, oltre a 4 verbali di riferimento da 1.500 a 15.000 euro da notificare.
La tipologia di aziende soggette a controllo utilizza notevoli quantità di detergenti e solventi per la pulizia e per lo sgrassaggio dei tessuti e dei metalli, che contengono come principio attivo sostanze chimiche dotate di elevate capacità solvente, quali il tricloroetilene ( TCE , trielina ) e il percloroetilene ( PCE, tetracloroetilene ) entrambe appartenenti al gruppo dei solventi clorulati.
In particolare le lavanderie a secco utilizzano quantità notevoli percloroetilene per la pulizia di indumenti e tessuti, per un consumo stimato in circa 400 Kg/anno per lavanderia e a livello nazionale, nell’ordine di 100.000 quintali. Liquido incolore dall’odore di cloro, con densità nettamente maggiore dell’acqua e limitata solubilità in acqua, il percloroetilene non è infiammabile evapora facilmente ed esposto alle alte temperature si decompone facilmente producendo gas pericolosi.
E’ ormai appurato che i solventi clorulati risultano tra i più diffusi inquinanti delle falde acquifere in corrispondenza di aree urbane e produttive ed anche in Umbria sono pervenute notizie al Comando della Forestale regionale, per presunti fenomeni di inquinamento di falde.
In particolare il percloroetilene qualora sversato sul suolo, si infiltra nel terreno e migra verticalmente all’interno della falda fino a raggiungere una zona impermeabile sulla quale si stratifica. La contaminazione di pozzi ed acquedotti con percloroetilene è fenomeno che richiede onerosissimi costi per la bonifica e per consentire di rimettere l’acqua in condizioni di potabilità. Il PCE e il TCE possono essere facilmente assorbiti dall’organismo sia per ingestione che per inalazione. L’esposizione prolungata anche a basse concentrazioni aumenta il rischio di sviluppare tumori o danni al fegato e reni, oltreché al sistema nervoso centrale.
In base al Testo unico ambientale, decreto legislativo nr. 152/2006, il titolare dell’attività da cui origina lo scarico deve ottenere una preventiva specifica autorizzazione per poter immettere le acque reflue prodotte, tramite un sistema stabile di collettamento, nella rete fognaria, o nelle acque superficiali o sul suolo.
A seconda del tipo di acqua reflua e del corpo recettore lo scarico nell'ambiente deve essere effettuato rispettando determinati limiti di emissione che si raggiungono mediante appositi trattamenti di depurazione. L’attività di pulitura a secco è inoltre inserita nell’elenco delle industrie insalubri ex art. 216 del R.D. 1265/1934 e per gli impianti che usano solventi ricompresi nei composti organici volatili (COV) è prevista anche l’autorizzazione a carattere generale per l’emissione nell'atmosfera ex art. 272, comma 2, D.Lgs. 152/06 e ss.mm.ii..