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Il poeta Paolo Ottaviani celebra due geniali personaggi, e la poesia e la fisica si incontrano

Il nursino Paolo Ottaviani è a buon diritto considerato uno dei poeti più colti e sensibili del panorama nazionale. Oggi propone un inedito accostamento fra Leopardi e Stephen Hawking, recuperando la classica forma del sonetto

Il nursino Paolo Ottaviani è a buon diritto considerato uno dei poeti più colti e sensibili del panorama nazionale. Oggi propone un inedito accostamento fra Leopardi e Stephen Hawking, recuperando la classica forma del sonetto. Già bibliotecario della Stranieri, Ottaviani ha curato il trasferimento dell’enorme patrimonio librario nella Palazzina Valitutti, in piazza Giorgio Spitella, all’interno del Parco di Santa Margherita. Ha creato la rivista “Lettere dalla Biblioteca” che ospita qualificati interventi di studiosi nazionali.

Laureatosi con una tesi su Giordano Bruno, è autore di saggi sul naturalismo filosofico. Amico di numerosi e qualificati poeti nazionali (Maria Luisa Spaziani, Eugenio De Signoribus), è stato membro fondatore dell’Associazione culturale perugina “Il Merendacolo”. Tra le forme poetiche, sempre originalissime e ricercate, è inventore delle “trecce”, composizioni a schema chiuso dalla metrica sofisticata, dedicando alcune liriche a grandi perugini come Walter Binni e Aldo Capitini. È anche “reinventore” di antiche forme linguistiche umbro-sabine che hanno suscitato curiosità e interesse tra gli addetti ai lavori, ma anche fra il pubblico della poesia.

Ha pubblicato: Funambolo (1992), Il felice giogo delle trecce (2010), Trecce sparse (2012), Piccolo epistolario in versi (con Walter Cremonte, 2013), Nel rispetto del cielo (2015). Ora sta preparando un nuovo libro in cui adotta la classica forma del sonetto.

Anticipiamo una composizione di raro appeal (“A che tante facelle?”), scritta nel primo anniversario della morte di Stephen Hawking e nel duecentesimo della nascita  de “L’Infinito” di Giacomo Leopardi.

Eccone il testo: “Sempre care mi furono le valli / Che scendono e risalgono ondulate / Le inquiete schiene dei monti, cristalli / Svettanti all’orizzonte tra velate, // Pulviscolari raggiere, coralli / Nei tramonti di fuoco, irradiate / Nuvole assorte nei vari intervalli / Del cielo dove sono appena nate // Remotissime stelle. Qui, tra case / E ulivi, quelle ignote eppur emerse / Lampe non brilleranno, persuase, // Come le ambigue valli ora immerse / In una nebbia di luci inevase, / D’andar per gli infiniti vaghe e terse”.

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