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"Ancora un giro di basso", Nicola Mucci torna in libreria con una storia di musica e amicizia

L'avvocato e giornalista perugino è al suo quarto romanzo e dopo il calcio e i libri affronta un'altra grande passione: il rock (e non solo)

C’era una volta un ragazzo che voleva giocare al Curi, poi un uomo che passava la vita in una libreria, per giungere all’epopea corale di una squadra di provincia che arriva a giocarsi al Champions.

Nicola Mucci, avvocato e giornalista perugino, torna sugli scaffali delle librerie con la storia di Matteo, Walter, Filippo e il Manu, eterni ragazzini innamorati della musica, del rock delle band degli anni ‘80 e ‘90: U2, i Cranberries, i Guns N’ Roses e Bruce Springsteen. Loro sono le Zucche Vuote, “la band più vecchia del pianeta” che vuole tornare a fare musica e organizzare un concerto.

“Ancora un giro di basso” di Nicola Mucci, edito da Morlacchi, con la copertina di Luca Convito, ha anche un valore sociale e solidale, visto che i diritti verranno devoluti in beneficenza all'associazione "Casa della Misericordia".

Calcio, libri, musica, la tua terza passione?

“Gli U2, i Cranberries, i Depeche Mode, Bryan Adams e il grande Springsteen sono stati la colonna sonora dei miei pomeriggi di studi. I miei compagni di classe, alle superiori, si trovavano insieme per suonare. Io non ne sono mai stato capace, ma mi sarebbe piaciuto. Avrei voluto suonare la chitarra anche perché, qualche anno fa quando ancora non c'erano i cellulari, era la compagnia preferita durante le gite scolastiche e nei ritrovi con gli amici. Insieme allo sport e ai libri, la musica è sempre stata insomma una fedele compagna di viaggio. E ho scoperto che può esserci una colonna sonora per ogni momento della vita. Un po' come accade per i personaggi del mio nuovo libro: Losing My Religion dei REM è perfetta quando sei un po' giù di morale, mentre un pezzo dei Guns N' Roses può servirti per darti la carica quando occorre”.

Quale storia racconta questo tuo quarto romanzo?

“È una storia nata tanto tempo fa. Parla di musica, di amicizia, di sogni, un po' di perdono e di seconde occasioni e di giovinezza. Quattro amici che si ritrovano dopo tanti anni accomunati dalla loro grande passione per la musica rock. E che hanno un folle piano: quello di mettere in piedi un grande concerto. Rispolverano chitarra, basso e batteria e, nonostante i reumatismi e gli acciacchi dell'età, provano a recuperare il tempo perduto. Vogliono sentirsi di nuovo giovani e avere quella grande occasione di salire su un palco che, da ragazzi, hanno buttato via. Perché la gioventù non è solo un fatto anagrafico. Anzi, forse non lo è affatto. La fonte dell'eterna giovinezza può trovarsi anche in una Les Paul del '78”.

Dal rock alla musica classica, che accade ai quattro personaggi che, mi sembra, siano un po' avanti con l'età?

“Come dicevo, sono stati compagni di scuola e, dopo essersi persi un po' di vista, si ritrovano insieme, cinquant'anni dopo. Ma dopo così tanto tempo, riallacciare i rapporti non è facile. Ci sono vecchi rancori da seppellire e la vita non è stata generosa con tutti e quattro allo stesso modo. Ma sarà la musica a unirli di nuovo, così come avvenuto alle superiori. Per farli sentire di nuovo vivi e pronti a compiere la più grande e assurda impresa della loro vita. Contro il parere di tutti, affittano una sala e cominciano le prove. Filippo, Matteo, il Manu e Walter sono quattro over settanta che non si arrendono all'età e agli acciacchi. Attraverso il loro rock, hanno ancora qualcosa da dire al mondo. Perché ogni età ha la sua bellezza. Una bellezza che gli antichi conoscevano e che noi, invece, sembriamo aver dimenticato in nome solo di ciò che è utile e produttivo. E il concerto rock delle Zucche Vuote, la più grande rock band del pianeta, non lo è di sicuro. O no?”.

Quanto c'è di Nicola, dell'avvocato o del giornalista nei tuoi romanzi?

“Ovviamente, di Nicola c'è sempre un pezzettino. Soprattutto di quel ragazzino che, dopo l'esame di terza media, chiese ai suoi genitori come regalo per la promozione una macchina da scrivere. È partito tutto da lì, dal sogno di quel ragazzino di tredici anni, che ancora me lo vedo a battere sui tasti i resoconti delle partite di pallone che vedeva la domenica allo stadio insieme a suo papà”.

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