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Mercoledì, 24 Aprile 2024
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LETTI PER VOI “Malattia e morte di Giacomo Leopardi” smentisce molte convinzioni sullo stato di salute del poeta

Erik Sganzerla, direttore della Neurochirurgia dell’ospedale San Gerardo-Università Bicocca, rivoluziona le convinzioni sul poeta recanatese: niente depressione psicotica, ma una una grave malattia genetica

 “Malattia e morte di Giacomo Leopardi”, libro a suo modo “rivoluzionario”, è utile a dissipare una radicata convinzione. Ma chi ha detto che il poeta de “L’Infinito” era depresso? Neanche per idea.

Lo sostiene, argomentatamente, Erik Sganzerla, quasi 70 anni, direttore della Neurochirurgia dell’ospedale San Gerardo-Università Bicocca.

Come ha maturato questa convinzione? 

Esaminando con acribìa scientifica le 1.969 lettere che costituiscono il corpus della corrispondenza del poeta e che consentono di ricostruire le fasi della malattia: dall’insorgere dei primi sintomi (disturbi urinari, deformità spinale, problemi visivi, astenia, gracilità, bassa statura, difficoltà intestinali, complicanze polmonari e cardiopolmonari) fino alla loro tragica evoluzione.

Se non era depressione, di che ebbe a soffrire il poeta di Silvia?

Giacomo Leopardi era affetto da una malattia genetica rara: la spondilite anchilopoietica giovanile, ancora oggi diffusa per 5/7 casi ogni 100 mila persone.

Su quali elementi si fonda questa considerazione?

Sull’epistolario. A questa patologia sarebbe dovuta la trasformazione da un “Giacomino di circa 16 anni sano e dritto”, divenuto, dopo 5 anni, “consunto e scontorto”, come scrive il fratello Carlo.

Il poeta si sottopose a degli sforzi psico-fisici?

Non gli giovarono certamente i faticosissimi sette anni di studio “matto e disperatissimo” che aggravarono la sua condizione. Tanto che si acuirono i problemi della vista, i disturbi intestinali e le complicanze cardiopolmonari che lo portarono alla morte a 39 anni, il 14 giugno 1837.

Dunque: niente “depressione psicotica”, ma solo una malattia fisica rara e gravissima.

Esattamente.

Ma entriamo nel campo squisitamente letterario. C’è ancora chi dice che l’altissima poesia leopardiana sia conseguenza delle sue pessime condizioni di salute. Che, insomma, la sofferenza fisica sia stato il prezzo da pagare a quella poesia universale.

Insomma: qualcuno si pone ancora la questione se un Leopardi “senza gobba” sarebbe stato il poeta che è stato. Questioni di lana caprina che lasciamo a chi, anziché leggere i capolavori del poeta recanatese, si diletta in ipotesi senza fondamento.

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