rotate-mobile
Attualità

INVIATO CITTADINO Per capire la città, occorre la giusta ‘cassetta degli attrezzi’

Segatori declina le premesse per la corretta analisi di una Perugia in trasformazione

Parliamo con Roberto Segatori, già ordinario di Sociologia dei fenomeni politici allo Studium perusinum, dove ha diretto il Dipartimento Istituzioni e Società.

Ha coordinato un libro fondamentale (Popolazioni mobili e spazi pubblici. Perugia in trasformazione) con contributi di antropologi, sociologi, economisti, specialisti di settore.

Quale, dunque, Roberto, la cassetta degli attrezzi per capire qualcosa sull’evoluzione di Perugia?

“Occorre capire di che cosa è fatta una città, quali sono le popolazioni urbane, come la si studia. Tre interrogativi imprescindibili per dotarci di una strumentazione concettuale minima, utile a riflettere sulla Perugia del 2000”.

Cominciamo dalla prima riflessione. Di cosa è fatta una città?

“È fatta di pietre, di esseri viventi (tra cui gli umani, che assumono per noi una valenza da protagonisti) e di relazioni (degli umani con le pietre, e degli umani tra loro, in rapporto allo spazio convissuto e condiviso)”.

Un tessuto in cui le trame si rapportano e si coniugano?

“Tra l’ambiente, le pietre e gli umani le relazioni sono circolari. Nel senso che ogni componente influenza, interagisce e retroagisce sulle altre: spesso con lunghi condizionamenti vischiosi (specie da parte dell’orografia e delle pietre), talvolta con repentini mutamenti di assetto (grazie a nuovi insediamenti umani e/o alla costruzione di nuovi edifici e infrastrutture con le funzioni correlate)”.

Insomma, a Perugia (come altrove) travertini e persone interagiscono?

“Concettualmente, il sistema di relazioni sociali trasforma l’urbs (complesso di edifici e mura) in civitas (una comunità che si ritrova e si riconosce soprattutto nei suoi spazi pubblici), fino a diventare una polis (un soggetto collettivo di partecipazione che si definisce per la riflessività e la decisionalità consapevole sul proprio bene comune)”.

Insomma, è difficile definire una città?

“Dire che cosa sia una città dipende, in ogni caso, dalla prospettiva che si assume, dal punto di vista, dalle specificità messe in campo”.

Facci capire

“Esistono le città illustrate dagli storici (origini, funzioni, sviluppo), dai letterati (come ricostruzioni simboliche riferite a esperienze fattuali o immaginarie), dagli urbanisti (come progetto o come razionalizzazioni a posteriori), dai sociologi (che si occupano tanto di elementi materiali e funzionali quanto di elementi simbolici e relazionali), dagli antropologi e dagli psicologi (per il significato delle pratiche sociali, i legami e il senso di appartenenza)”

Insomma: tanti punti di vista che debbono integrarsi

“Oltre alle tre dimensioni spaziali tradizionali – per cui l’urbs si legge ‘in lungo, in largo e in alto’ – anche per le città è fondamentale la quarta dimensione”.

Quale?

“Il tempo. È il tempo a fare delle città un processo, più che una struttura statica. Un processo, però, che mantiene un nesso strettissimo con la materialità”.

Insomma, un complesso dinamico, del quale talvolta fatichiamo a renderci conto

“C’è la fissità dei luoghi e il dinamismo delle persone. Per questioni di identificazione, di appartenenza, di securizzazione, si preferisce coltivare una visione stabile che, però, nei fatti corrisponde solo ad un autoinganno percettivo ed emotivo. Fare sociologia della città significa dunque tenere conto di tutto questo, e misurarsi con le altre due domande d’apertura”.

Da chi è costituita la popolazione urbana?

“Per lunghi tratti della storia, la risposta è stata molto semplice: la città viene ritenuta come appartenente ai suoi abitanti, soprattutto agli autoctoni o indigeni (gli allogeni venivano sempre guardati con sospetto), meglio se insediati in essa da più generazioni”.

Poi c’è il fenomeno migratorio, vero?

“In tempi recenti – ma anche nelle epoche in cui si sono registrati rilevanti movimenti migratori, più o meno pacifici – il rapporto tra gli esseri umani e la città è diventato più articolato e complesso. Con lo sviluppo delle grandi metropoli, si è reso necessario ricorrere ad un nuovo vocabolario. Nelle città contemporanee, infatti, si può vivere, lavorare e consumare, senza avere necessariamente un nesso stretto con l’abitarvi”.

Quali le tipologie di popolazione urbana?

“Occorre distinguere (altri lo hanno fatto) almeno quattro tipi di popolazione urbana: gli abitanti, i pendolari, i city users (utilizzatori dell’offerta urbana di beni d’arte e/o di consumo, nonché di servizi, come turisti, utenti…), gli uomini d’affari”.

Altri?

“Sì. Sono da prendere in considerazione anche categorie tipologiche considerate minori: studenti in affitto, militari, flâneurs, senza tetto… Per non parlare poi degli immigrati stranieri, articolati in residenti regolari, irregolari e clandestini (pur sempre presenti). Ovvio osservare come il movimento dei flussi abbia inevitabilmente prodotto significative trasformazioni della vita e degli assetti urbani”.

Quindi c’è la necessità di ridiscutere il rapporto delle categorie con la città

“Le persone, singole o in gruppo, sono state spinte a ri-tarare frequentemente il proprio rapporto con la città, la quale ha sempre costituito psicologicamente un simbolo mnesico integrale”

Spiegati meglio

“Gli individui hanno costantemente attuato una specie di presa di possesso dello spazio corrispondente al loro insediamento, ovvero un posizionamento traducibile in termini di identificazione ed orientamento”.

Esempio?

“Un rapporto – quello degli uomini con l’ambiente – che ha sempre coinvolto le tre dimensioni dell’esperienza umana: esistenziale (connessa con l’identità di luogo), mentale (tramite le mappe cognitive) ed emotiva (come attaccamento al luogo)”.

E gli immigrati?

“L’errore frequente che si commette nei loro confronti è quello di considerarli come dei portatori di una cultura rigida, fissa, attribuita ai luoghi di provenienza. In realtà, ogni immigrato, quale che sia la sua provenienza, è attore di un progetto di vita assolutamente dinamico: non è più l’africano di un tempo, ma non è neppure l’europeo per come noi siamo abituati ad intendere tradizionalmente la nostra condizione. Egli ha un’identità in fieri, fatta di contaminazioni e dall’esito aperto. Così è per la città di oggi”.

In conclusione, il problema è irrisolvibile?

“Irrisolvibile no. Ma certamente complesso e dinamico. Di fonte ad una situazione così articolata e mutevole, pare necessario rimettere mano alla terza questione: come, oggi, si studia la città”.

Strumenti di carattere specialistico. Ma anche necessità, per tutti noi, di ridiscutere le tradizionali categorie interpretative e le metodologie superate dalla realtà?

“C’è, insomma, la necessità di allargare lo spettro dei metodi di ricerca. Questo ci serve a mettere sotto osservazione il nostro case study: ovvero le trasformazioni della città di Perugia. Soprattutto per quanto riguarda i suoi spazi pubblici, sotto la spinta delle azioni di due tipiche popolazioni mobili: gli studenti universitari e gli immigrati”.

Analisi impeccabile. Grazie, Roberto. Sulle trasformazioni urbanistiche storiche avremo modo di tornare.

Si parla di

In Evidenza

Potrebbe interessarti

INVIATO CITTADINO Per capire la città, occorre la giusta ‘cassetta degli attrezzi’

PerugiaToday è in caricamento