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Il crocifisso nei luoghi pubblici: simbolo che divide o che unisce?

Le riflessioni del presidente dei Giuristi cattolici di Perugia, l'avvocato Simone Budelli

Quando i politici sono a corto di idee, di progetti, di programmi e di visioni, è uso distrarre l’opinione pubblica con questioni di pseudo-principio, che consentano a tutti di parlare, magari senza troppo pensare. Per fortuna, dopo qualche settimana, tutte queste discussioni, cadono irrimediabilmente nel dimenticatoio.

Una di queste è certamente rappresentata dall’annosa problematica dell’esposizione del crocifisso negli edifici pubblici, che a periodica cadenza, viene immacabilmente rievocata.

Di recente il Ministro competente, non sapendo cosa dire sui “problemucci” che affliggono l’istruzione in Italia è partito, novello Don Chisciotte, lancia in resta alla carica ancora una volta del “povero” crocifisso, da tempo abituato alle stramberie degli uomini.

Che abbia sbagliato non solo l’argomento, ma soprattutto (in periodo di campagna elettorale) il tempo per sollevare l’annoso problema lo ha notato persino il suo capo politico, Di Maio, che nonostante pare non sia stato un gran frequentatore di edifici scolastici, ha sentenziato: “i veri problemi della scuola sono le aule dove a volte mancano i banchi, crollano i soffitti e ci sono problemi di infiltrazioni”. Parole peraltro analoghe a quelle pronunciate qualche anno fa dal suo acerimmo nemico e ora sodale, Matteo Renzi, che con il progetto denominato “buona scuola”, aveva annunciato la panacea di tutti i mali.

Evidentemente l’uscita fuori tempo del neo ministro, ha disorientato anche alcuni uomini di Chiesa, che pare si siano lasciati sfuggire l’ovvia, ma incredibile (per un religioso) costatazione: “parlare ora della esposizione del crocifisso, serve solo a dare una mano a Salvini”

Essendo stata la questione più volte trattata anche nelle leggi e poi nelle aule giudiziarie, cadiamo anche noi volontariamente nella trappola mediatica, con la speranza però di fornire qualche dato utile alla discussione.

L’esposizione del crocifisso è stata disciplinata per la prima volta nel 1859 peraltro in un periodo di vivace contrapposizione fra Stato e Papato. Successivamente, la materia è stata normata da regolamenti di epoca fascista (r.d. 965/1924 e all. C del r.d. 1297/1928) ancora oggi vigenti.

Dal punto di vista giudiziario, già nel 1988, il Consiglio di Stato confermava la legittimità dell’impianto normativo pre-repubblicano e stabiliva che il crocifisso “rappresenta il simbolo della civiltà e della cultura cristiana, nella sua radice storica, come valore universale, indipendente dalla specifica confessione religiosa”.

Nel 2004, a seguito di un giudizio intentato da un padre italiano di religione musulmana, la questione veniva sottoposta alla Corte costituzionale, che però declinava la propria competenza.

Nel 2005 toccava al Tar Veneto (la cui sentenza n. 1110/2005 veniva confermata ancora dal Consiglio di Stato in sede di appello con la decisione n. 556/2006) ricordare che l’esposizione del crocifisso, “costituisce anche un simbolo storico-culturale e di conseguenza dotato di valenza identitaria” (al pari di altri simboli, quali ad esempio la bandiera).

Il cristianesimo, proseguono i giudici amministrativi, avendo posto la difesa della dignità dell’uomo, della tolleranza, della carità al centro della propria fede “contiene in nuce quelle idee di tolleranza, eguaglianza e libertà che sono alla base dello stato laico moderno e di quello italiano in particolare”.

Infine, la questione è arrivata persino alle corti europee e nel 2011 la Grand Chambre della Corte EDU ha deciso come sia “legittima la scelta dello Stato di riservare maggiore visibilità alla religione maggioritaria del Paese attraverso la semplice esposizione di un simbolo religioso”, che diventa in definitiva la “volontà di perpetuare una tradizione”. Né può ragionevolmente essere sostenuto – continuavano i giudici europei - che un crocifisso possa “violare il diritto di un genitore di garantire ai propri figli un’educazione ed un orientamento conforme alla proprie convinzioni religiose e filosofiche”.

Ciò posto, mi permetto di ricordare le parole dello scrittore, austriaco di origini ebraiche, sfuggito alla persecuzione nazista, Stefan Zweig (Vienna 1881 – 1942 Brasile) nell’ “Appello agli europei”: per costruire l’Europa e per sconfiggere i nazionalismi (che anche oggi ci fanno paura) occorre una suggestione simbolica, che parli al cuore e al sangue dei popoli, perché “mai nella storia il cambiamento è venuto dalla sola sfera intellettuale o dalla sola riflessione”.

Allora, può essere vero, come sosteneva il filosofo Ernest Renan, che la Nazione deve fondarsi in primo luogo sul consenso democratico, ma la storia, le tradizioni, i simboli, la memoria contano… eccome se contano!

Simone Budelli, Unione Giuristi cattolici di Perugia

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