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Giulio Fratticioli, fotografo di rango, si rivela parente o collaterale di Antonio Meucci, nella storica ricorrenza del 10 marzo

Giulio Fratticioli, fotografo di rango, si scopre (e si rivela) parente o collaterale di Antonio Meucci, nella ricorrenza del 10 marzo.

Una tradizione che si lega alla figura del bisnonno, Giulio Natalini, antesignano dei titolari di studi fotografici perugini e non solo.

Giulio assomma in sé competenze e passioni legate alla confidenza con le lenti: quelle maneggiate come ottico optometrista, e quelle delle focali delle macchine fotografiche. Il cui sapere dispensa in Corsi e workshop molto appetiti da chi intenda diventare edituo di Galilei e di Daguerre.

Giulio ha ereditato dal babbo Sandro (classe 1930), per li rami del dna di famiglia, la passione e la competenza. Condivisa col fratello Giorgio, anche lui fotografo e fotocommerciante, già contitolare dell’apprezzato negozio di piazza Italia.

Dunque Giulio, globe trotter e figlio d’arte, rivela che proprio ieri, 10 marzo, si è celebrata la felice ricorrenza della giornata in cui Bell effettuò la prima telefonata della storia.

Scrivono i sacri testi che la frase pronunciata fosse “Mr Watson, vieni qui, voglio vederti!”. Alexander Graham Bell (era il 10 marzo del 1876) telefonò al suo assistente Watson che si trovava in un'altra stanza. La conversazione divenne così popolare che Bell ripeté  la stessa frase nel 1915 a New York, in occasione della prima chiamata transcontinentale.

Polemicamente, Giulio Fratticioli non manca di mettere in rilievo il fatto che Bell fu autore di uno scippo ai danni dell’italianissimo Antonio Meucci. Il quale, fin dal 1849, era riuscito a trasmettere per la prima volta la voce che corre su un filo. Ma, per mancanza di denaro e nell’impossibilità di tutelare il brevetto, fu rapinato dell’invenzione e di un capitale immenso.

Dunque – sostiene Giulio – non è privo d’interesse il fatto che Antonio Meucci sia effettivamente un lontano parente della famiglia Fratticioli.

“Questa curiosa coincidenza – scrive Giulio in un post – mi ha spinto a compiere un gesto simbolico, che ho deciso di immortalare in una foto scattata davanti all'insegna del mio negozio di fotografia nel centro di Perugia”.

La foto in pagina effigia dunque Giulio alle prese con un telefono d’antan, simbolo della prima comunicazione vocale su un filo, e l’insegna "Cubitale", che ricorda l’invenzione di Meucci.

Tanto per richiamare un simbolo. Che, da Mallarmé in poi, significa evocazione del mondo. E, oltre all’uomo che “cammina in una foresta di simboli”, c’è la riflessione di Wilde il quale sosteneva che l’uomo ha bisogno di simboli, poiché egli stesso è un simbolo. Forse.

Dice Giulio: “Come fotografo, mi piace pensare che le immagini possano raccontare storia e storie, connettere le persone tra loro in un dialogo proficuo. Questa foto, per me, è un esempio di come la storia, la tecnologia e la famiglia possano convergere in un unico gesto e diventare una forma di comunicazione”.

Al cronista che gli chiede lumi sul rapporto e grado di parentela, risponde: “Non è del tutto chiaro quale sia il grado di parentela esatto. Ma la nonna mi raccontava di quando suo padre (mio bisnonno omonimo, Giulio Natalini) andava in Toscana a trovare questi parenti illustri”.

Quale, dunque, la relazione esatta? “Non so – risponde – anche se penso che un po' tutti noi siamo parenti suoi, visto che ha avuto più di una dozzina di figli!”.

Questo mi piaceva raccontare anche come curatore di un bellissimo libro (“Da Natalini a Fratticioli. La fotografia a Perugia dalla fine dell’Ottocento ai giorni nostri”, Futura) che Serena, madre di Giulio e di Giorgio, mi chiese di seguirle. E fu un’esperienza divertente. Da cui ho imparato tanto.

2 La copertina del libro curato dall'Inviato Cittadino

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