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Coronavirus, il grido di infermieri e oss: "Turni da 10 ore in cui diventa difficile anche andare in bagno"

Personale ospedaliero carente e allo stremo anche in Umbria per l'emergenza. L'allarme del 'NurSind': "Niente ferie e permessi. Si rischia l'esaurimento fisico e psichico". Abbiamo ascoltato la voce di chi è in prima linea

Tra contagiati e deceduti (rispettivamente 12.839 e 1.258 in Italia ieri, 12 marzo, con 1016 guariti) i bollettini medici legati l'emergenza al coronavirus, nella Penisola come nel resto del mondo, sembrano sempre più simili a bollettini di guerra. Una guerra che vede in prima linea medici, infermieri (non solo quelli di terapia intensiva) e operatori socio-sanitari (Oss), considerati per questo e a pieno titolo degli eroi dai pazienti e dai loro familiari, ma anche da tutti quei cittadini che restano a casa in quarantena per arginare la diffusione del contagio da Covid-19. 

Una definizione, quella di 'eroi', che consola però solo parzialmente: "Noi non siamo né eroi né missionari - spiega Marzo Erozzardi, segretario regionale del 'NurSind' (sindacato delle professioni infermieristiche) - ma dei professionisti poco remunerati e mandati a combattere questa emergenza come i soldati della prima guerra mondiale, con armi inadeguate se non addirittura disarmati. Come in guerra però ci si arrangia con quello che si ha a disposizione: l'importante è garantire presidi di protezione individuale, ventilatori meccanici per i pazienti e il personale infermieristico farà il suo, come sempre ha fatto, anche se spesso siamo stati bistrattati e visti come impiegati statali nullafacenti o furbetti del cartellino”.

Senso del dovere e spirito di sacrificio, questo spinge infermieri e oss ad andare avanti: “Nel 2018 la nostra sigla è stata l'unica a non firmare, considerandolo offensivo per la professione, un rinnovo del contratto collettivo che dopo 10 anni ci concede un aumento di 80 euro lordi mensili. Ora invece ci chiedono di salvare la patria, ma se resistiamo è grazie al senso di appartenenza nei confronti delle aziende per cui lavoriamo e della professione, che per 1400-1500 euro al mese ci porta a stare al fronte rischiando sulla nostra pelle. Il livello di stress comunque è molto alto anche negli ospedali umbri, dove per fortuna i numeri sono ancora contenuti rispetto alle regioni del Nord e la Regione è riuscita finora ad arginare l'onda assistendo a domicilio i pazienti in isolamento”. 

Lo striscione per medici e infermieri: "Orgogliosi della nostra sanità. Non mollate"

Una strategia che ha consentito di limitare i ricoveri (21 secondo il bollettino medico della Regione di ieri, 12 marzo) e di gestire i 10 pazienti in terapia intensiva negli ospedali di Perugia e Terni, ma non di evitare l'enorme carico di stress psico-fisico di chi lotta in trincea contro il virus: “Con ferie e permessi sospesi e turni da 10 ore in cui diventa difficile anche andare al bagno, il personale è comunque provato - prosegue Erozzardi - e diventa difficile operare in queste condizioni. In terapia intensiva c'è il rischio di contagiarsi e infettare le nostre famiglie ma anche gli reparti soffrono, soprattutto quelli di pronto soccorso. Per fortuna ora la gente resta a casa e sono diminuiti gli incidenti, ma il problema resta nei reparti di malattie infettive dove alcuni pazienti si aggravano e hanno bisogno di terapia intensiva. Serve turnover e senza ferie e permessi si rischia l'esaurimento fisico e psichico”. 

Uno dei problema principali è la carenza di personale, difficile da risolvere in tempi brevi: “Noi già lavoravamo in emergenza 365 giorni all'anno, con un'età media degli infermieri intorno ai 50 anni e il 'turnover' bloccato per tanto tempo anche nella nostra regione, ma ora le criticità si sono inevitabilmente amplificate. Difficile resistere e se dovesse esserci bisogno di altre terapie intensive non abbiamo personale infermieristico formato e con competenze necessarie per affrontare l'emergenza. Per rendere autonomo un infermiere di terapia intensiva occorrono minimo 6 mesi, ora stanno cercando di formare il personale di sala operatoria dell'ospedale di Pantalla, che dovrà allestire 4 o 6 posti di terapia intensiva, ma il tempo non è sufficiente”.

Proprio la struttura di Pantalla, come quella di Branca, è stata destinata dal piano ospedali della Regione Umbria all'emergenza Covid-19. Scelta che nel comprensorio eugubino ha scatenato la protesta dei sindaci, secondo i quali non è possibile gestire i contagiati da coronavirus a Branca dove c'è il centro regionale per la fibrosi cistica: “Nessun presidio ospedaliero, sindaco o amministratore in questo momento può tirarsi indietro - afferma il segretario regionale di 'NurSind' -. Se non potrà ospitare pazienti affetti da covid-19 dovrà mettere comunque a disposizione per altre necessità le sue strutture e dare il suo contributo alla collettività”.

Resistere dunque, in un momento in cui bisogna arrangiarsi con i mezzi attuali, ma senza dimenticare la 'lezione' che questa emergenza sta impartendo: “Ora si può fare poco e bisogna imparare da questa situazione. Da questa emergenza, da questa 'peste' – conclude Erozzardi - dobbiamo imparare e capire quale Sanità vogliamo nel futuro, dopo i tagli di posti letto e di personale effettuati negli ultimi anni in quello che è il sistema sanitario nazionale migliore al mondo”.

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