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Angolo del Dónca - Santo Scòllete, il santo perugino inventato

E un cuore innamorato, in perugino, non “palpita”, ma “sguànguela”

Un altro santo perugino inventato è Santo Scòllete. Il nome si richiama al verbo “scollà”, in forma riflessiva “scollasse”. E non c’entra niente… la colla. La traduzione in italiano standard è “cadere… rovinosamente”, ossia con esiti molto negativi come “farsi male parecchio”.

L’etimologia letterale (“s” privativa + “collo”) vuole il senso di “rompersi il collo”. Termine collaterale è “scollatoio” indicante un luogo ripido, molto scosceso e tale da costituire una probabile occasione di caduta.

Come imprecazione si sente “Chette scollasse!”, ossia “che ti possa rompere l’osso del collo!”.

Voci analoghe sono “scapicollasse” che significa sia “rompersi l’osso del collo” che “affrettarsi verso un luogo, mossi da un forte interesse”. Se una ragazza desiderata invita un corteggiatore ad un appuntamento, quello “ce se scapicolla”. Si dice anche “ce tiro l capèllo” (“ci tiro il cappello”) o anche “me ci arlévo dal letto” (“mi ci rialzo dal letto”). Perché un cuore innamorato, in perugino, non “palpita”, ma “sguànguela”, ossia “si scioglie”.

La formula avverbiale “a scapicollo” sta per “a rotta di collo”.

Come formula ironica, all’indirizzo di una persona (specie un bambino o un ubriaco) che cade a ripetizione, si usa “Ògge è Santo Scòllete?”, quasi che si volesse celebrare la festa di un santo che dovrebbe proteggere dalle cadute. O, quanto meno, la divina creatura impedisce che ci si possa rompere il famigerato “osso del collo”. A proposito del quale, come formula di malaugurio verso una persona odiata, si usa “Chette scapicollasse”. Altre volte si maschera l’imprecazione col detto “L collo (de galina)… fa l brodo bono!”. Il disegno di Marco Vergoni è, come al solito, spiritoso ed evocativo

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